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di Riccardo Orizio

Corriere della Sera, 24 dicembre 2023

La vita straordinaria del meccanico missionario partito da Lecco: “Ho 80 anni, sono venuto qui per tirare su case. Non mi basta essere esempio vivente di povertà, voglio che resti qualcosa di concreto”. Padre Renato “Kizito” Sesana, 80 anni: in Africa da oltre 50 anni, il missionario è stato direttore della rivista comboniana “Nigrizia” e ha fondato la comunità Koinonia.

Porta una criniera bianca da vecchio leone, che tra barba, capigliatura e sopracciglia gli scolpisce un volto antico da Cristo sopravvissuto alla croce. Jeans qualunque, sandali qualsiasi, voce cristallina per nulla consueta. Mani nodose da operaio metallurgico di una volta. Gli occhi chiari, ma velati da mezzo secolo di Africa. Tra la Nairobi post-coloniale e i lontani monti Nuba, tra lo Zambia e mille angoli del continente, una vita da romanzo segnata da avventure, successi, delusioni, premi prestigiosi e attentati scampati per miracolo. Adorato da tanti, tradito non da pochi. Un ostacolo per molti superiori e colleghi. Ma una leggenda nelle baraccopoli dei dimenticati. Padre Renato “Kizito” Sesana ha compiuto 80 anni ed è un monumento vivente, uno di quelli che hanno cambiato la vita di migliaia e migliaia di persone, soprattutto ragazzi presi dalla strada e “tirati su” - una delle sue espressioni preferite - per dar loro un futuro dignitoso. Non li ha compiuti in silenzio.

Dal Kenya, Paese dal quale in diversi hanno cercato di cacciarlo, ha tracciato su Famiglia Cristiana un bilancio della sua straordinaria vita, togliendosi qualche sassolino dalle scarpe. Una sorta di testamento dove alle prime righe compare inevitabilmente il verbo “fare”: “Com’è che ho ancora sogni per il futuro? È che ogni mattina quando mi alzo metto in fila le cose che vorrei fare quel giorno, e sono sempre troppe”. Questo missionario che assomiglia al ritratto dei missionari di una volta, quelli che partivano dai paesi della provincia italiana per terre lontane e popoli sconosciuti, è infatti uno che crede nella concretezza, nel costruire. Incontrarlo è un’esperienza che lascia il segno. E ancora di più il fatto che poi ti scrive una email per dire: “Ripensando all’intervista mi sono ricordato di non aver risposto pienamente alla domanda sul “fare”, perché ho divagato, come mi succede spesso. Una spiritualità senza il “fare” è un inganno. Il cristianesimo senza amore e servizio concreto al prossimo, al povero, è una dottrina esoterica estranea all’insegnamento di Gesù di Nazareth, il figlio di Dio. Lui ci ha detto la verità sul Padre, ma anche su di noi, sul senso della nostra vita. È sul fare che costruiamo il nostro “giudizio finale”. Poi ciascuno declina il fare come gli è possibile a seconda dei suoi doni e delle circostanze delle sua vita. Ma se l’amore non genera vita e non diventa visibile è un’illusione”.

Divagare? Nei suoi 80 anni, padre Kizito ha fatto tutto eccetto che divagare. È partito da perito meccanico alla gloriosa Moto Guzzi, che aveva 1.500 dipendenti a Mandello del Lario vicino alla sua Lecco. “Dopo tre mesi di apprendistato mi hanno subito assunto e messo nel reparto Analisi tempi e metodi. Lavoro bellissimo”. Ma era un animo inquieto. “I miei genitori vendevano libri. A casa ero circondato dai classici della BUR. Mi nascondevo sotto il bancone nel negozio di mio papà e leggevo. A 8 anni I Promessi Sposi , poi l’ Imitazione di Cristo e così via. Mi affascinavano la spiritualità, la religiosità”, dice Kizito. Così l’operaio Sesana scrive una lettera al vicario generale dei Comboniani, che lo convoca subito per il noviziato. Renato va dal direttore del personale e gli dice che parte missionario. I vangeli al posto dei motori.

“Avevo 21 anni. A quei tempi i missionari erano rispettati, credibli, e lui non cerca neppure di fermarmi e mi dice “Vai, fai bene, ti verremo a trovare, dovunque tu vada”. Sesana ha già in mente l’Africa. I Comboniani, infatti, sono gli eredi di quel Daniele Comboni che, partito dal Regno Lombardo Veneto, nel 1858 aveva stabilito il primo vicariato apostolico dell’Africa Centrale, nel Sudan ottomano-egiziano. Comboni era morto a Khartoum nel 1881 dopo aver fondato una rivista che farà storia, Nigrizia (esiste ancora), e rivoluzionato il pensiero paternalista che sperava di europeizzare il cosiddetto Continente Nero. Il famoso motto di Comboni, infatti, proponeva il contrario: “Salvare l’Africa con l’Africa”. Per padre Renato Sesana è l’inizio di una carriera fulminante. Ordinato nel 1970, due anni dopo nominato giovanissimo direttore di Nigrizia (“Sono giornalista da più di 50 anni!”), primo viaggio in Africa nel ‘71, nel ‘73 va insieme ai guerriglieri della Guinea Bissau. Poi lo mandano in Kenya a fondare radio e riviste edite dai Comboniani, che in Africa sono una potenza da ogni punto di vista e formano generazioni di classe dirigente.

Scrive libri (ad oggi 14). Poi scopre che la sua vocazione non è solo quella del comunicatore, ma anche del costruttore. Come alla Guzzi. Invece di motociclette, speranza. Come? Aiutando direttamente i più fragili tra i poveri, i bambini. Inizia a “tirar su” case che li ospitano, offre studi, un tetto, formazione professionale, insomma un futuro. Costruisce, salda, ripara, compra terreni, si allarga. Nasce Koinonia, comunità che si ispira agli Atti degli Apostoli, dove genitori adulti volontari fanno crescere insieme ai propri figli quelli di famiglie disintegrate.