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di Gianluca Di Feo

La Repubblica, 17 febbraio 2023

In Ucraina sono tornati cannoni, tank e fanti. Contro la sindrome da “caserme vuote” riecco la voglia di naja. Non bastano la tecnologia, né la qualità: i conflitti totali sono questione di numeri. E la ricomparsa della guerra in Europa sta animando dibattiti che sembravano cancellati dalla Storia e relegati nel libro dei ricordi: dopo la riscoperta dei carri armati e dei cannoni, ecco la discussione sul servizio militare obbligatorio. La naja, incubo per generazioni di ventenni spediti con il fucile in mano a vigilare sulla “soglia di Gorizia”, torna protagonista nel clima bellicoso causato dall’invasione dell’Ucraina. Le ondate di fanti mandati all’assalto da Putin e il ritmo di combattimenti che proseguono da dodici mesi mettono governi e stati maggiori davanti a una nuova realtà: gli eserciti di professionisti della Nato sono troppo piccoli per affrontare una carneficina del genere. Sono stati concepiti per l’epoca delle “missioni di pace”, quando bastavano squadre altamente specializzate e contingenti ridotti, non per battaglie combattute su un fronte di centinaia di chilometri. Il massimo impegno italiano in Afghanistan - ad esempio - ha coinvolto circa quattromila uomini e donne, mentre un singolo scontro nel Donbass vede schieramenti cinque volte superiori.

Nei Paesi della Nato però la leva è stata abolita da anni, con l’eccezione di Grecia, Lituania e Danimarca, e le caserme sono state svuotate. Di fronte a un’offensiva di massa l’Europa avrebbe a disposizione solo “una sottile linea rossa”, come quella dei granatieri scozzesi che a Balaclava si immolarono per fermare la carica russa. Così si torna a parlare di servizio obbligatorio persino in Germania, dove la tradizione pacifista è fortissima. Il neoministro della Difesa Boris Pistorious l’ha rilanciato, mescolando esigenze militari e civiche, tanto da lasciare vaghezza tra farlo nell’esercito o nella protezione civile. “Abolirlo è stato un errore e potrebbe dimostrare l’importanza di queste istituzioni per il funzionamento della nostra società”, ha detto il socialdemocratico Pistorius, riecheggiando le parole del leghista Matteo Salvini: “Penso che un anno di insegnamento delle regole, della buona educazione e dei doveri formerebbe dei buoni cittadini”.

Motivazioni simili a quelle con cui Ignazio La Russa a dicembre ha annunciato un disegno di legge: la mini-naja volontaria di 40 giorni per “imparare cosa è non solo l’amore per la Patria, ma il senso civico, il dovere che ciascuno di noi ha di aiutare gli altri in difficoltà”. A Berlino il ministro liberale della Giustizia ha tagliato corto: “È un’idea completamente fuorviante perché i giovani sono già stati eccessivamente provati dall’effetto della pandemia”. E quello delle Finanze l’ha definita “una discussione sui fantasmi”.

Altrove però l’attenzione è più focalizzata sulle lezioni che arrivano dall’Ucraina. Dopo quindici anni, a gennaio la Lettonia ha reintrodotto la leva obbligatoria e la Danimarca vuole estenderla pure alle donne. Gli olandesi, che faticano a trovare reclute, stanno ipotizzando di adottare il modello svedese: sorteggiare ogni anno 4-5mila diciottenni per una ferma di undici mesi. Ma la Polonia, che pure ha lanciato il più colossale programma di riarmo del continente, ritiene che i coscritti nelle guerre moderne siano più o meno inutili: “Solo i russi usano i cittadini come carne da cannone”, ha sostenuto un generale polacco.

Un’opinione condivisa dai vertici dell’Alleanza Atlantica, come ha scritto Franz-Stefan Gady su Foreign Policy: i costi economici e sociali della leva sono superiori ai possibili benefici. Quella che viene indicata come la strada maestra, invece, è la creazione di una riserva numerosa: personale addestrato e pronto a entrare in azione con un minimo preavviso. Come avviene negli Usa con la Guardia Nazionale, che si è fatta carico pure di campagne ad alta intensità in Iraq e Afghanistan. O in Gran Bretagna, che unisce a 153mila professionisti altri 75mila ex militari che ogni anno si esercitano per 27 giorni. In teoria pure la Francia ha una riserva di 40mila uomini, la Germania di 30mila e la Polonia addirittura di 114mila ma la gran parte non indossa la mimetica dalla fine della leva e non riuscirebbe a pilotare un tank o utilizzare un missile teleguidato.

Le cose stanno cambiando. Parigi ha organizzato per la prossima primavera grandi manovre che includeranno una quota consistente di richiamati. E anche in Italia l’Esercito sta proponendo di rivitalizzare le “forze di completamento volontarie”: vennero create con la sospensione della naja, quando l’organico della Difesa scese da 350mila a 150mila uomini, e sulla carta contano oltre 17mila riservisti. Un’armata in sonno, che potrebbe venire risvegliata dai terribili venti di guerra che soffiano sull’Europa.