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di Giuseppe Benedetto*

Il Dubbio, 14 settembre 2023

La Corte di Giustizia della UE (nella causa C-162/22) pochi giorni fa ha affermato un principio di grande civiltà giuridica negando che possano essere utilizzate al di fuori del processo penale le captazioni di comunicazioni telefoniche, intercettazioni e registrazioni eseguite nell’ambito di un’indagine penale. Secondo questa pronunzia, lo Stato lituano ha violato il diritto comunitario per aver utilizzato nel procedimento disciplinare avviato nei confronti di un magistrato sospettato di corruzione, le intercettazioni disposte nell’ambito dell’indagine penale a carico di quest’ultimo.

Secondo la CGUE, infatti, le captazioni possono essere utilizzate solo all’interno di procedimenti penali perché, secondo l’art. 15 par. 1 direttiva 2002/ 58, il diritto alla riservatezza può essere sacrificato sull’altare delle intercettazioni solo ed esclusivamente in presenza di reati particolarmente gravi e, in ogni caso, mai per procedimenti disciplinari.

Anzi, la Corte specifica altresì che, le intercettazioni acquisite nell’ambito di un procedimento penale non possono neppure essere trasmesse ad altre autorità a fini disciplinari perché “se è vero che le indagini amministrative vertenti su illeciti disciplinari o condotte illecite di natura corruttiva possono svolgere un ruolo importante nella lotta contro tali atti”, tuttavia “una misura legislativa che prevede siffatte indagini non risponde in modo effettivo e rigoroso all’obiettivo del perseguimento e della sanzione dei reati, di cui all’articolo 15, paragrafo 1, prima frase, della direttiva 2002/ 58, il quale riguarda solo azioni penali”. In Italia accade esattamente il contrario. La Corte di Cassazione, infatti, ha sempre ammesso in sede disciplinare l’utilizzo di intercettazioni disposte in un procedimento penale, persino a prescindere dall’esito di quest’ultimo. Si veda ad es. Cass. sez. lav. Ord. n. 36861/ 2022, che ha confermato il licenziamento disciplinare di un dipendente dell’Enel deciso sulla base di intercettazioni disposte in un’indagine penale a suo carico nonostante il fatto che poi tale indagine fosse alla fine sfociata in un’archiviazione.

Ma v’è di più. In Italia in tema di intercettazioni la confusione regna sovrana posto che, in materia di art. 68 Cost., la stessa Corte Costituzionale a luglio ha dapprima accolto una visione, per così dire, “giustizialista” delle intercettazioni per poi nello stesso mese sposare viceversa una visione più “garantista” della libertà parlamentare. Con la sentenza n. 157/ 2023 (caso Ferri), infatti, il giudice delle leggi ha affermato che è lecito disporre una captazione anche quando il PM sia consapevole che, intercettando un indagato, probabilmente ascolterà anche un deputato ancorché totalmente estraneo all’indagine penale. La stessa Corte Cost. però, pochi giorni dopo, con la pronunzia n. 170/2023 (caso Renzi), ha dichiarato illegittimo, senza la previa autorizzazione del Parlamento, il sequestro di chat di un parlamentare rinvenute in un cellulare di un indagato. Con ciò ponendosi culturalmente in totale contrasto con la pronuncia n. 157/2023 poiché con la prima sentenza la libertà di comunicazione del parlamentare viene radicalmente sacrificata in favore dell’Autorità inquirente, mentre con la sentenza n. 170/2023, al contrario, le comunicazioni del parlamentare risultano pienamente garantite.

Visioni sostanzialmente tra loro inconciliabili e che probabilmente spiegano anche l’assoluta anomalia rilevabile nel fatto che la prima sentenza ha visto una dissociazione tra il relatore della causa e il redattore della sentenza, con ciò evidenziandosi un profondo contrasto all’interno della Corte (si legge infatti nella sentenza: ‘ udito nell’udienza pubblica del 4 aprile 2023 il Giudice relatore Franco Modugno, sostituito per la redazione della decisione dal Giudice Stefano Petitti’).

In conclusione, è evidente che il diritto italiano delle intercettazioni come interpretato dalla giurisprudenza è in parte in netto contrasto con il diritto dell’UE, mentre per altra parte, è del tutto privo di certezze, persino in materia di libertà e guarentigie parlamentari. E’ allora auspicabile che il Parlamento intervenga quanto prima, facendosi finalmente consapevole che oramai non solo la libertà del mandato parlamentare di deputati e senatori rischia di diventare un lontano ricordo, ma anche la stessa libertà dei cittadini è a rischio, come ho avuto modi di approfondire nel mio libro “L’eutanasia della Democrazia”.