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di David Romoli

L’Unità, 26 agosto 2023

Il capo dello Stato: “Se nel passato avessero prevalso le contrapposizioni tra diversi il genere umano sarebbe stato condannato. Patria è incontro di etnie”. Con il tono vellutato dell’accademico invitato a un simposio sull’amicizia come categoria della politica ma nella sostanza implacabile come un caterpillar il capo dello Stato, dal meeting Cl di Rimini, ha smantellato ieri, mattone su mattone, l’intero impianto culturale della destra. Quello di Mattarella è stato un intervento insolitamente lungo, segno dell’importanza che il presidente dava non solo all’occasione, proprio al meeting di Cl aveva pronunciato 7 anni fa il primo discorso da presidente della Repubblica, ma anche al tema.

Il presidente, inoltre, ha fornito alcune indicazioni operative precise e anche questa è nel suo caso una modalità poco consueta. Ma l’obiettivo non era questa o quella scelta particolare: era un intero impianto ideologico e culturale che Mattarella ritiene evidentemente necessitare ormai di una censura precisa. Le parole contro il culto dell’identità nazionale sono affilate e inequivocabili. Se nel passato avessero prevalso la “contrapposizione tra diversi, l’ostilità per il vicino o per il lontano” il genere umano sarebbe stato condannato. Se l’amicizia e la solidarietà fossero solo tra “coloro che si riconoscono come simili”, si imboccherebbe la strada che porta all’”omologazione e all’appiattimento: l’opposto del rispetto delle diversità”.

Mattarella esalta apertamente “le identità plurali delle nostre comunità, frutto del convergere delle identità di ciascuno di coloro che le abitano, le rinnovano, le verificano”. Il presidente cita il termine più caro alla premier, “Patria”, ma lo fa per ricordare che il popolo italiano è “frutto dell’incontro tra più etnie, consuetudini, esperienze, religioni, dell’apporto di diversi idiomi”. Nell’appassionata difesa del multiculturalismo e delle identità composite, nella critica senza appello rivolta alla “pretesa di resuscitare anacronistici nazionalismi”, molti hanno letto una implicita risposta alle tesi del generale Vannacci.

Ma anche se quel libro spopola in libreria, è impossibile immaginare che il capo dello Stato si sarebbe abbassato a confutarne le farneticazioni senza la consapevolezza che quelle trivialità sono solo una punta di iceberg e che visioni del genere, pur se declinate in maniera meno rozza e grottesca, campeggiano nella destra italiana e ogni tanto emergono nitidamente, come avvenne con l’uscita del ministro Lollobrigida.

Non è solo un discorso legato alla contingenza quello di Mattarella: il lungo e centrale passaggio sull’impatto delle trasformazioni tecnologiche e sul rischio che portino a un individualismo privo di connessioni con la comunità, come quello sul diritto alla ricerca della felicità implicito anche nella nostra Costituzione rinviano caso mai alla riflessione permanente sulla contemporaneità, sulle sue opportunità ma anche sui guasti e sui rischi, che sviluppa metodicamente il Pontefice.

Ma dopo la prolusione quasi filosofica il presidente torna a bomba sull’agenda stretta del presente. Sull’immigrazione non usa perifrasi, abbandona per un attimo l’abitale felpatezza: “i fenomeni migratori sono movimenti globali che non vengono cancellati da muri o barriere”. Afferma di avere appeso nello studio il disegno di un bambino morto nella strage continua del Mediterraneo. Si era cucito nella giacca la pagella. Veniva in Europa con la speranza e l’intenzione di studiare e lavorare. Quella che chiede è una rivoluzione nell’approccio all’immigrazione, possibile solo su scala europea: “Solo ingressi regolari in numero adeguatamente ampio sono lo strumento per stroncare il crudele traffico di esseri umani”.

Ma anche per indurre i migranti ad “attendere turni di autorizzazione legale”, per garantire “inserimento lavorativo ordinato”, per “rimuovere la presenza incontrollabile di chi vaga senza casa, senza lavoro e senza speranza”. Se nella prima parte del suo intervento Mattarella aveva smontato l’impianto delle politiche identitarie e nazionaliste, nelle conclusioni prende di mira l’intera strategia adottata dal governo, ma anche da molti governi precedenti, sul fronte delle politiche dell’immigrazione non solo sul piano dell’etica ma anche su quello della efficacia e funzionalità.

Mattarella non si ferma qui. Invoca “una giustizia ambientale senza la quale non può esserci giustizia sociale” e di nuovo passa dall’orizzonte generale all’urgenza delle misure necessarie qui e ora: “I cittadini della Romagna e i loro sindaci non vanno lasciati soli”. Non è solo uno sprone: è un imperativo preciso. Sulla Costituzione il guardiano della Carta è meno esplicito, non meno chiaro. Ricorda un discorso di Dossetti del 1995, nel quale il padre della componente cristiano-sociale segnalava come, nel corso di due secoli, la situazione degli Usa fosse completamente mutata ma senza che per questo la Costituzione americana fosse modificata se non in pochi particolari.

Perché, aggiunge l’allievo di Dossetti, “è proprio nei momenti di confusione e transizione che le Costituzioni adempiono alla loro funzione più vera: quella di essere un punto di riferimento e di chiarimento”. Chi si accinge a modificare la Carta deve sapere che la Costituzione può essere modificata. Non stravolta.