sito

storico

Archivio storico

                   5permille

   

di Francesca Sforza

La Stampa, 29 giugno 2024

Definire “metodo da regime” l’inchiesta di Fanpage.it che ha scoperchiato il verminaio della formazione giovanile di Fratelli d’Italia significa implicitamente ammettere che sarebbe stato meglio se non fosse venuto fuori. Se è vero infatti, come ha dichiarato Giorgia Meloni l’altra sera al termine del Consiglio europeo, che “i sentimenti razzisti, antisemiti o nostalgici sono incompatibili con Fratelli d’Italia” allora si sarebbe dovuto salutare con tutti altri toni il fatto che quell’incompatibilità sia stata apertamente e ripetutamente rinnegata. Fanpage andrebbe casomai ringraziata, per aver consentito di portare alla luce - nella migliore tradizione della stampa occidentale, quella che fece diventare uno slogan da maglietta la frase del Washington Post “Democracy Dies in Darkness”, la democrazia muore nell’oscurità - una situazione che fa male prima di tutto al partito di governo. E invece la premier, dopo aver detto una cosa giusta a proposito di chi ha sbagliato casa, ne ha aggiunta una che risulta sbagliata due volte: in sé, perché la libertà di stampa non dovrebbe essere messa in discussione, e relativamente a quanto aveva appena detto, perché appunto se non fosse stato per Fanpage lei adesso sarebbe all’oscuro di quanto avviene nella sua Gioventù Nazionale.

L’inciampo logico, a questo punto, legittima il dubbio se la premier fosse davvero all’oscuro dell’esistenza di una propaganda razzista, antisemita, antidemocratica e inequivocabilmente fascista all’interno della sua stessa casa politica. E se non abbia invece preferito minimizzare, sottovalutare, relegare a folclore ciò che appare indifendibile sotto ogni punto di vista. Perché se così fosse, la questione si farebbe meno “di forma” e andrebbe a toccare la sostanza stessa della politica meloniana. La fase degli underdog al potere e la conseguente narrazione “riscatto e vittimismo” dovrebbe forse considerarsi chiusa; anche gli ultimi segnali che arrivano dall’Europa chiedono al partito di Giorgia Meloni di fare maggiore chiarezza, di allargare al centro, di liberarsi di zavorre e vecchi arnesi. Il momento è cruciale, perché in Europa davvero ci sono nei suoi confronti due diversi tipi di atteggiamento: alcuni pensano che sia da collocare nel recinto delle “estreme” - per usare il linguaggio di Macron - e che sostanzialmente sia meglio buttare la chiave. Altri però - tra cui Manfred Weber e Ursula von der Leyen, che l’ha persino aiutata con il rinvio del report sullo stato dei media in Italia previsto proprio nei giorni del voto - pensano che invece non tutto sia perduto, e che l’Italia possa fare la differenza per la costruzione di un centrodestra popolare ed europeo. Certo mettersi ad attaccare la libertà di stampa, chiamare maldestramente in causa il presidente della Repubblica, utilizzare terminologia da scontro sociale anni Settanta non sembra il modo giusto per convincerli.