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di Vladimiro Zagrebelsky

La Stampa, 22 luglio 2023

Il documento di Mario Serio e di Armando Spataro di cui La Stampa ha dato notizia e che circola su varie mailing list raccogliendo decine e decine di firme di giuristi, riguarda il caso di Julian Assange, detenuto da tre anni in Inghilterra in vista della sua possibile estradizione negli Stati Uniti. Secondo il governo americano avrebbe violato l’Espionage Act del 1917, con la possibilità di condanna a una pena fino a 175 anni di reclusione. Cosa ha fatto Assange di così tremendo, con la sua organizzazione WikiLeaks? Nel 2010 ha reso pubblica sul web una massa di documenti americani, la cui veridicità non è in discussione e che anzi sono ritenuti pericolosi da parte delle autorità statunitensi proprio perché veri: comunicazioni interne alla amministrazione americana, alle sue forze armate in Irak e Afganistan e a diverse ambasciate degli Stati Uniti nelle loro comunicazioni con il governo. Da quei documenti emerge il profondo scarto esistente tra la versione pubblica ufficiale e la realtà di fatti e valutazioni segretamente scambiati tra gli uffici e le ambasciate e risultano uccisioni di civili, abusi e violenze che non sono stati fatti oggetto di indagine e punizione. Fatti gravi, contrastanti con l’immagine ufficiale che veniva presentata di quelle guerre, del loro andamento, del loro scopo. La loro pubblicazione da parte di Assange, rompendo il segreto, ha portato a conoscenza della opinione pubblica internazionale fatti, tanto rilevanti per il dibattito pubblico, quanto lo è stata la distorsione indotta dal segreto che su di essi era stato imposto.

La vicenda giudiziaria e quella politica governativa britannica si trascina, con alterne decisioni - anche riguardanti la compatibilità dello stato di salute di Assange con la severità del processo e della carcerazione che lo attendono negli Stati Uniti - e paiono vicine alla decisione esecutiva. Ed è proprio quest’imminenza che ha spinto gli autori del documento di cui si è detto a presentarlo pubblicamente. Il documento non è isolato, ma è stato preceduto da altri simili nel corso del tempo. Non è però per questo meno utile. Procedure a lungo trascinate, come quella di cui si rendono responsabili ora le autorità britanniche, possono avere l’effetto di diluire fino all’oblio l’attenzione pubblica. Dall’inizio vi è stata la pandemia, poi la guerra in Ucraina e i drammi dei migranti, eccetera, eccetera. Legittimamente si pensa ad altro. Ma occorre invece mantenere la massima vigilanza e non cessare di condannare la crudele vicenda di cui è protagonista e vittima il giornalista Assange, con la detenzione in Inghilterra e la possibile condanna negli Stati Uniti. Essa è di grande importanza generale di principio per tutti e ciascuno di noi, in ogni società democratica in cui sia garantita la libertà di informare e di essere informati sulla condotta dei governi. Essa è affermata in Europa fin dalla Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino del 1789 e poi da tutte le Costituzioni e dalla Convenzione europea dei diritti umani. E analogamente dalla Costituzione degli Stati Uniti.

Comunque si concluda, come frutto anche delle contingenze politiche nel rapporto tra Regno Unito e Stati Uniti, quel che Assange ha già subìto e quel che rischia di subire, ha fin da ora un effetto grave, su uno dei pilastri della libertà e democrazia di cui spesso facciamo vanto in Europa. Si tratta della libertà di informare l’opinione pubblica sui fatti di interesse per il dibattito pubblico. Inutile legare la democrazia alle elezioni di parlamenti e governi, se chi vota non conosce i fatti rilevanti e si orienta sulla base di disinformazione. I fatti che Assange ha portato a pubblica conoscenza e che i governi avrebbero voluto seppellire nel segreto hanno un alto contenuto di portata politica. La loro segretezza ha comunque esaurito ogni potenziale giustificazione, se non quella del segreto per il segreto. Il segreto per garantire ai governi che, qualunque cosa facciano, non lo si saprà mai. Nelle democrazie come nelle dittature. Il diritto alla conoscenza è invece fondamentale nelle società democratiche. In ballo non è solo e nemmeno tanto il diritto di pubblicare, forzando divieti che confliggono con i diritti delle opinioni pubbliche, quanto il diritto di sapere. Perché il segreto non sia impropriamente utilizzato è indispensabile l’opera del giornalismo di investigazione.

La persecuzione di Assange ha già attualmente l’effetto di ammonire e impaurire i giornalisti. Colpirne uno per impaurirne cento, perché ciò che egli ha fatto non abbia mai più a ripetersi. Si tratta di quello che la Corte europea dei diritti umani chiama chilling effect, l’effetto di gelo che colpisce la professione giornalistica tutta insieme, ben oltre il caso specifico. È vero che il giornalista è soggetto a doveri e responsabilità. Ma il senso di quanto viene imposto ad Assange, da lungo tempo e allo stesso modo dai vari governi americani e britannici che si sono succeduti, è l’avviso di star lontani dai segreti che scottano. Il Potere vuol essere sicuro che certe azioni non siano conosciute, né subito né mai, perché la narrazione ufficiale e la propaganda non siano messe in crisi. E così il vanto dell’Occidente della protezione delle libertà abbia agio di dispiegarsi nell’innocuo gossip sugli amori di calciatori ed attrici. Lasciando stare le cose serie.