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di Giovanni M. Jacobazzi

Il Dubbio, 14 marzo 2022

Negli ultimi decenni la criminalità organizzata, soprattutto quella di stampo mafioso, ha subito profondi e radicali cambiamenti. Sono ormai molto lontani, infatti, gli anni del pool antimafia di Palermo e del maxi processo a Cosa nostra voluto da Giovanni Falcone e dove la quasi totalità degli imputati si esprimeva in dialetto.

Oggi, come ricordato anche dal procuratore generale della Cassazione Giovanni Salvi durante la cerimonia di inaugurazione dell’Anno giudiziario, “non è la più o meno vasta misura territoriale dell’ambiente in cui il sodalizio opera, né la specifica natura del concordato programma criminale (e meno ancora il panel dei reati fine), ma il concreto ed autonomo esercizio del metodo mafioso e la sua riconoscibilità esterna che distingue l’associazione criminale semplice da quella mafiosa”.

Un cambio di scenario significativo che costringe a riflettere, sempre per usare le parole di Salvi, sull’applicazione dell’articolo 416bis codice penale “a nuovi modelli criminali”. In particolare, per “le filiali extraterritoriali delle associazioni tradizionali” e per “le formazioni di nuovo conio, come le mafie etniche o le neo formazioni di autonoma e nuova matrice mafiosa nelle grandi realtà urbane come, ad esempio, quelle operanti nel territorio romano”. Attualmente è diventato impossibile isolare le attività criminali mafiose solo in uno specifico territorio: quando si discute di mafia siciliana, calabrese o campana il riferimento è solo alla sua origine ma non più alla sua estensione territoriale.

A tal proposito, il pg della Cassazione ha ricordato una recente sentenza relativa all’articolazione svizzera della ‘ndrangheta nella città di Frauenfeld nel cantone Turgovia. I giudici di piazza Cavour hanno negato lo scorso anno la natura mafiosa del sodalizio proprio in conseguenza di “un deficit di prova in punto di riconoscibilità esterna del collegamento funzionale con la casa-madre”.

L’indagine, denominata “Helvetia”, era stata condotta dalla Dda calabrese. Le immagini della riunione nel ristorante di una bocciofila nei pressi di Frauenfeld vennero diffuse nel 2014 dai carabinieri di Reggio Calabria e fecero il giro del mondo: 15 persone sedute intorno a un tavolo discutevano di droga, armi ed estorsioni e recitavano i rituali di affiliazione alla ‘ndrangheta. Condannati dal tribunale di Locri per associazione a delinquere di stampo mafioso erano stati poi assolti dalla Cassazione.

I giudici della prima sezione penale avevano stabilito che quella di Frauenfeld non poteva essere definita mafia, dal momento che le riunioni non presupponevano metodi intimidatori o estorsivi tipici della criminalità organizzata. “Si è infatti sottolineato che collegamento organico-funzionale e riconoscibilità esterna sono le coordinate concettuali che evitano, se correttamente intese, di dar rilievo a mere potenzialità di estrinsecazione di forza intimidatrice, ossia a forme mute di mafiosità che si pongono, in quanto tali, al di fuori dell’ambito di applicazione della norma incriminatrice”, ha precisato Salvi.

Ma la decisione più nota sul tema è certamente quella del procedimento “mondo di mezzo”, per tutti “mafia capitale”. Anche in quel caso la Cassazione, rispetto a un diverso orientamento della Procura generale, aveva fatto venir meno l’aggravante mafiosa per tutti gli imputati.

La domanda spontanea, allora, è se gli strumenti normativi classici della legislazione antimafia siano idonei per contrastare efficacemente queste organizzazioni criminali dedite ai grandi traffici finanziari e al condizionamento delle decisioni delle amministrazioni pubbliche per ricavarne vantaggi in termini d’impresa. A maggior ragione con i fondi del Pnnr in arrivo dall’Europa. Un modello criminale che si espande soprattutto nelle regioni del Nord e, come detto, su scala internazionale.

“Archiviato” il metodo mafioso dell’intimidazione, i nuovi sodalizi criminali creano di fatto delle lobby dedite alla commissione di una pluralità di reati: dallo spaccio di stupefacenti che ha raggiunto livelli mai visti, al traffico organizzato di migranti, alla insidiosa e pervasiva criminalità online.

L’europarlamentare del Movimento 5stelle Sabrina Pignedoli, giornalista d’inchiesta e grande esperta di fenomeni criminali di stampo associativo parte da una constazione: “La mafia è diffusa in diversi parti del territorio europeo, penso ad esempio all’Olanda o a Malta dove è forte il riciclaggio. Il suo agire, poi, non è più caratterizzato da azioni violente che rischiano di attirare l’attenzione delle forze ordine”.

La Commissione europea ha diramato delle linee guida per la repressione di tali fenomeni criminali, citato le buone pratiche italiane. La trasformazione in comitati d’affari con legami con logge massoniche obbligano però ad una rivisitazione di tali strumenti. “Penso alla legge Anselmi - prosegue Pignedoli - che dovrebbe essere aggiornata per un efficace contrasto di queste logge coperte dedite ad attività criminali eversive, prevedendo aumenti di pena”. La criminalità organizzata, in conclusione, va considerata come una seria minaccia per la sicurezza mondiale. Ed è necessario affrontare i gruppi criminali organizzati di alto livello sviluppando iniziative più efficaci a livello di cooperazione europea e internazionale.