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di Marco Grasso

Il Fatto Quotidiano, 21 agosto 2023

Firmataria dell’appello al ministro: “Si vuole limitare l’operatività dei pm e far sì che i governi condizionino le loro scelte”. “Non è affatto detto che dalla separazione di giudici e pm nascano magistrati più equilibrati. La contaminazione non intacca l’autonomia. Al contrario, si impara a valutare le cose da una prospettiva diversa. Lo dico per esperienza personale e familiare. Io sono stata nella mia carriera pubblico ministero e giudice, penale e civile, un percorso che mi ha arricchito. Soprattutto, ho avuto l’esempio mio papà: era stato pm e poi giudice, prima di essere assassinato stava rientrando in procura”.

Dopo aver vestito per anni la toga a Milano, Alessandra Galli è fra gli oltre 320 magistrati in pensione firmatari di un appello contro la separazione delle carriere promessa dal ministro Carlo Nordio. È figlia del giudice Guido Galli, ucciso il 19 marzo del 1980 all’Università Statale di Milano da un commando di Prima Linea.

Perché questo appello?

“Abbiamo alle spalle anni di esperienza, il lavoro che abbiamo fatto non ce lo dimentichiamo. Siamo preoccupati per il futuro e abbiamo sentito il dovere morale di fare sentire la nostra voce”.

Nella vostra lettera menzionate il pericolo che il pm finisca sotto controllo politico, il grande ‘non detto’ della riforma...

“Sono pochissimi oggi i casi di magistrati che passano da una funzione a un’altra. La vera domanda è: quali sono i veri obiettivi della separazione delle carriere?”.

Che risposta vi date?

“È una scelta politica, di bandiera. E non si dica che è per l’attuazione dell’articolo 111 della Costituzione, che vuole parti uguali davanti al giudice imparziale. Le parti sono già uguali perché uguali sono i poteri processuali di accusa e difesa davanti al giudice. L’obiettivo è limitare l’operatività dei pm e far sì che i governi ne condizionino le scelte”.

In che modo?

“Nell’architettura della riforma il giudice resterebbe la figura autonoma dagli altri poteri, cosa che lascerebbe aperta la domanda sul pm: a quale potere dovrebbe rispondere, se non a quello politico? Questo però è uno scenario che profila due grandi rischi”.

Quali?

“Il primo è un indebolimento complessivo della magistratura: da un lato avremmo un pubblico ministero che risponde a input politici, e non a logiche di autonomia e indipendenza; dall’altro verrebbe minata l’autorità e il ruolo del giudice stesso, che si troverebbe a giudicare solo quello che viene proposto da questo tipo di pm”.

E il secondo rischio?

“Sganciando la posizione del pm dalla cultura della giurisdizione, comune oggi a tutti i magistrati, si finirebbe per avere una figura che risponde a logiche di polizia, una sorta di avvocato dell’accusa. La conseguenza sarebbe la diminuzione delle garanzie per i cittadini”.

Insomma prefigurate un esito contrario a quello dichiarato dai sostenitori della riforma...

“Il refrain della separazione delle carriere va avanti da molti anni. L’argomento principale è la commistione tra pm e giudici, ma basta guardare ai fatti: assistiamo tutti i giorni a casi di giudici che non si fanno problemi a smontare gli impianti accusatori delle procure. Una riforma simile non inciderebbe sui veri problemi della giustizia, a cominciare dai tempi dei processi”.

Il ministro Nordio accompagna questa proposta ad riforme, dall’eliminazione dell’abuso d’ufficio alla limitazione delle intercettazioni. C’è una logica che tiene insieme tutto?

“Il disegno è quello di una politica che vuole riprendersi gli spazi che le sono stati sottratti sull’onda degli scandali emersi negli anni Novanta, ma non si ha il coraggio di reintrodurre apertamente la vecchia norma sull’immunità parlamentare. Si vogliono mani libere per sottrarre l’operato della politica al controllo di legalità”.

Lei è stata presidente del collegio della Corte d’appello di Milano che nel 2013 condannò Silvio Berlusconi per frode fiscale. Con la riforma sulla separazione delle carriere sarebbe ancora possibile un processo del genere?

“Di per sé la separazione delle carriere, come ho già detto, non ha alcun senso, il suo effetto sarebbe indifferente. Se invece la si intende come un progetto più articolato e complessivo per sottoporre i pm al potere del governo, allora certo che cambierebbe l’esito di una vicenda simile. Il governo dell’epoca, peraltro, intervenne con varie leggi ad personam per intralciare quel processo, basti ricordare il lodo Schifani, il lodo Alfano, la norma sulle rogatorie internazionali e infine anche la modifica della prescrizione, che fece sì che l’ex presidente del Consiglio fosse condannato solo per due delle cinque annualità originariamente contestate, essendo parte delle accuse andate prescritte. Tutto questo dimostra una volta di più la resistenza a farsi processare da parte di chi ricopre quel tipo di cariche”.

Ha citato la prescrizione. La maggioranza di destra, insieme a Iv e Azione, è pronta a tornare alla vecchia norma, cancellando la Spazzacorrotti di Bonafede e l’improcedibilità della Cartabia. Che ne pensa?

“L’Unione Europea negli anni ha ripreso più volte l’Italia per l’eccessivo numero di processi che vanno in prescrizione, soprattutto in materia di reati corruttivi. Per questo erano intervenuti prima il ministro Orlando e poi Bonafede. Questo accordo largo mostra come un alto tasso di prescrizione, come fosse l’ultimo santo a cui votarsi, è interesse un po’ di tutti. Di tutti, a eccezione dei cittadini perbene e dei magistrati che lavorano per niente. Più in generale, mi sconvolge anche un altro aspetto: si continuano a fare riforme senza aspettare di vedere che effetto hanno quelle precedenti. È un atteggiamento schizofrenico”.