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di Vincenzo Crasto*

ildenaro.it, 22 novembre 2022

La giustizia nel nostro Paese si trova ad un bivio decisivo. Oggi il governo può imboccare la strada dell’efficienza oppure può decidere di assecondare la definitiva paralisi del sistema e la conseguente perdita di svariati miliardi dei fondi del Pnrr.

La premier Meloni ha dichiarato che questo è il momento più difficile della storia repubblicana.

Dobbiamo tutti convincerci quindi che è arrivato il momento per il nostro Paese di abbandonare quello che potremmo definire “justicewashing”, mutuando dall’ecologismo il termine greenwashing, per cui a parole le istituzioni si professano a favore dell’efficienza della giustizia, ma nei fatti non vi è un serio e convinto impegno in tal senso.

La riforma cd. Orlando del 2017 sulla magistratura onoraria è certamente espressione di justicewashing, ma vi è qualcosa di molto più grave: nell’attuale contesto storico la sua attuazione risulta assolutamente irrazionale ed esiziale per il Paese in quanto porta ineluttabilmente al blocco della giurisdizione.

La riforma in questione viola almeno una mezza dozzina di articoli della Carta Costituzionale ed i Trattati europei e pertanto la Commissione europea ha aperto nel luglio di quest’anno una procedura di infrazione contro l’Italia. Numerosissime sono le condanne comminate al nostro Paese da corti interne ed internazionali per l’incredibile trattamento riservato a giudici di pace e vice procuratori onorari. In effetti l’aggettivo incredibile è quello che meglio rappresenta i termini della questione: infatti se si prova a raccontare al cittadino medio del trattamento che l’Italia ha riservato a giudici di pace e vice procuratori, questi semplicemente non crederà che per trenta anni in Europa ed oggi, nel XXI secolo, possano esistere giudici con un ruolo di oltre un migliaio di cause, privi di tutele previdenziali ed assistenziali o che si sia in passato verificato il fenomeno dei cd. “parti in udienza”, con donne costrette a recarsi in ufficio fino al giorno prima di partorire per evitare di perdere il lavoro.

Il nuovo esecutivo conosce bene le questioni: feroci sono state le critiche mosse dall’allora opposizione alla riforma del 2017 e famosa è stata la reprimenda che l’attuale Presidente del Consiglio indirizzò in Parlamento all’allora ministro della Giustizia Orlando, inoltre numerose sono state le occasioni in cui la stessa neopremier ed importanti esponenti dell’attuale esecutivo, a partire dal sottosegretario alla Giustizia Del Mastro delle Vedove, sono scesi in piazza accanto alla magistratura onoraria.

Nell’aprile 2018 la premier ebbe modo di affermare in Parlamento: “il ministro Orlando ha mortificato i magistrati, non garantendo loro nessuna forma di tutela, per giunta in modo precario e con una retribuzione poco dignitosa in violazione anche dei precetti costituzionali.” e concluse: “la riforma non ha nessun punto di riferimento né con la Costituzione né con l’ordinamento.” Ancora, in un tweet del 24 marzo 2021 scrisse: “I magistrati onorari sono fondamentali per la giustizia ma lo Stato li sfrutta e non gli riconosce alcun diritto. Uno scandalo condannato anche dalla Corte di Giustizia Europea. La stabilizzazione della magistratura onoraria è una battaglia storica di FDI”.

In sostanza la riforma del 2017 impone alla magistratura onoraria di limitare la propria attività giurisdizionale. Nell’attuale momento storico vi dovrebbe essere un qualcuno in grado di svolgere il lavoro di giudici di pace e vice procuratori. Questo qualcuno semplicemente non esiste, in quanto la magistratura di carriera già oggi svolge un superlavoro.

Oggi i magistrati onorari non sono parte residuale del sistema, anzi trattano poco meno del 60% del contenzioso civile ed i vice procuratori sostengono l’accusa praticamente in tutti i processi celebrati dinanzi al giudice monocratico. La magistratura onoraria è arrivata a definire anche due milioni di procedimenti in un anno e pertanto è divenuta componente indefettibile del sistema, mostrando una notevole efficienza. Si tratta di una magistratura “a legge Pinto zero”: ciascun giudice di pace definisce in media circa 800 procedimenti annui, ma soprattutto la durata media dei processi si attesta in tempi inferiori ad un anno e le sentenze emesse risultano appellate in una misura inferiore al 3% (fonte Min. Giustizia).

La qualità del lavoro è apprezzata a tal punto che nel suo ultimo intervento normativo il precedente esecutivo ha previsto il raddoppio della competenza per valore dei processi davanti al giudice di pace ed ulteriori aumenti di competenza.

In qualsiasi altra Nazione del mondo magistrati di pace e vice pretori sarebbero stati valorizzati, ma non in Italia dove il merito è pochissimo praticato e tali magistrati sono stati costantemente mortificati: si pensi che un ministro della Giustizia sostenne in buona sostanza che i magistrati onorari dovessero essere puniti perché si erano rivolti alle corti europee per vedersi riconosciuti semplicemente i diritti costituzionali spettanti a qualsivoglia lavoratore ed un altro ministro affermò che la condizione dei magistrati onorari servisse a conservare lo status della magistratura togata, suscitando le ire della stessa ANM.

Tornando alla riforma del 2017, lo stesso CSM nel suo parere affermò che la riforma incide negativamente sull’autonomia ed indipendenza dei magistrati onorari e sulla qualità della giurisdizione. L’organo di autogoverno spiegò chiaramente e con dovizia di dati che anche con le piante organiche a pieno regime i giudici onorari non saranno mai in grado di far fronte ai carichi di lavoro, poiché saranno per legge obbligati a lavorare meno rispetto ad oggi.

La riforma del 2017 precarizza, ma forse sarebbe meglio dire “polverizza” le funzioni dei magistrati onorari, limitandone drasticamente il lavoro, esponendoli inoltre ad ogni tipo di condizionamento. Marilisa D’Amico, professore ordinario di diritto costituzionale all’Università di Milano ebbe modo di affermare: “la riforma contrasta in molti punti con la legge delega violando l’art. 76 Cost. ed è del tutto irragionevole perché da una parte precarizza e limita il lavoro dei magistrati onorari, dall’altra ne aumenta le competenze. Inoltre non risponde alla condanna del Comitato europeo dei diritti sociali, violando l’art. 117, comma I Cost.”.

Oggi semplicemente il Paese non può permettersi il lusso di una riforma che distrugge il sistema. D’altra parte per usare le parole di Rahm Emanuel, allora capo di Gabinetto di Obama alla Casa Bianca, “Non possiamo permetterci di sprecare una crisi come questa, è un’opportunità di fare cose che non si pensava di poter fare prima”.

Usciamo da una pandemia, con una guerra in corso ed una inflazione al 12%, per cui la paralisi della giustizia determinerebbe gravissime conseguenze socio-economiche. Inoltre, vi è la quasi certezza che i risultati fallimentari che si produrrebbero nel settore giustizia inducano l’Europa a negare l’erogazione dei fondi previsti dal PNRR, senza contare le centinaia di milioni di euro che l’Italia dovrebbe pagare ai sensi della cd. Legge Pinto. L’Italia spende già oggi 700 milioni di euro ogni anno per i risarcimenti per l’irragionevole durata dei giudizi. Se la riforma trovasse attuazione la cifra raddoppierebbe in pochissimi anni.

Come ha ricordato il neo-ministro della Giustizia Nordio occorre invece rendere la giustizia efficiente e velocizzare i processi per recuperare al paese quel 2% di Pil che l’eccessiva durata dei procedimenti letteralmente distrugge.

Fin qui tutti d’accordo, ma è sul come che tradizionalmente le ricette divergono. In primis, a mio avviso tutte le componenti del sistema giustizia dovrebbero fare un passo indietro, abbandonando il muro contro muro praticato negli ultimi decenni ed aprirsi ad uno spirito che potremmo definire “repubblicano”, in cui ciascuno rinuncia a qualcosa per il bene della Nazione.

La storia della magistratura onoraria dimostra che essa ha un altissimo senso di responsabilità e se venisse realmente valorizzata potrebbe rivelarsi una risorsa fondamentale per abbattere l’arretrato e velocizzare la durata dei procedimenti, nel superiore interesse dei cittadini e del Paese.

Invero, negli anni è stata evidente l’avversione nei confronti della magistratura onoraria specie da parte degli esecutivi che si sono succeduti, che ha portato ad ignorare le condanne favorevoli alla categoria. Si pensi che già nel lontano 2016 il Comitato Europeo dei Diritti Sociali presso il Consiglio d’Europa ha accertato che l’Italia ha operato una discriminazione nei confronti dei giudici di pace, non apprestando in loro favore le tutele previdenziali ed assistenziali, previste dalla nostra Carta costituzionale e dal trattato denominato Carta Sociale Europea. I governi precedenti hanno non solo ignorato questa ed altre pronunce interne ed internazionali, ma hanno peggiorato la condizione di giudici di pace e vice procuratori con la riforma del 2017 e le successive modifiche.

La magistratura onoraria non è un’anomalia del sistema come alcuni, pure tentano di sostenere. Invero, la giustizia di pace è espressamente prevista dall’art. 116 della nostra Carta costituzionale e quindi neppure il più ottuso dei burocrati potrebbe eliminarla, come pure si è tentato di fare.

Si pone una questione etica: invero il Paese ha un debito di riconoscenza nei confronti di servitori dello Stato che negli ultimi 25 anni hanno svolto in modo efficiente fondamentali e delicatissime funzioni (ad es. in materia di immigrazione e penale), privi di qualsivoglia diritto giuslavoristico, venendo assoggettati ad un incivile “caporalato” di Stato. Come detto, il nostro paese ha avuto la sfortuna di assistere al fenomeno dei cd “parti in udienza”.

Ci chiediamo se la prima donna premier possa accettare che nel XXI secolo una donna debba ancora scegliere tra lavoro e maternità.

In sostanza oggi la mortificazione della magistratura onoraria coincide con la mortificazione dell’intero sistema giustizia ed è su questo che chiediamo al nuovo esecutivo interventi coerenti con le posizioni assunte quando era all’opposizione nelle passate legislature. Le norme previste nell’ultima legge di Bilancio, lungi dal dare risposte serie all’Europa, hanno addirittura stabilito l’obbligo di rinunciare alle azioni giudiziarie già proposte per ottenere i diritti negati se si vuole continuare ad esercitare le attuali funzioni. Si tratta probabilmente di un unicum nella storia repubblicana. Inoltre si è prevista una retribuzione parametrata a quella del personale amministrativo.

Gli attuali magistrati onorari scontano il “peccato originale” di un reclutamento molto caotico e approssimativo, ma oggi la figura è radicalmente mutata: le modalità di reclutamento dei magistrati attualmente in servizio sono profondamente modificate ed oggi lo Stato si avvale di valenti professionisti, sempre più spesso laureati con voti altissimi, che hanno già svolto l’attività di avvocati, e quindi particolarmente qualificati. È pacifico che per la stragrande maggioranza di giudici di pace e vice procuratori il compenso percepito per l’attività di magistrato costituisca l’unica fonte di reddito, in quanto l’impegno è assorbente ed ormai esclusivo.

Anche l’avvocatura al recente Congresso Nazionale Forense ha compiuto una svolta storica, comprendendo ed appoggiando le istanze della categoria.

L’unica soluzione a questo punto praticabile è l’approvazione di una norma sul modello della Legge 217/74, che stabilizzò i vice pretori onorari, che comprenda le garanzie giuslavoristiche, senza prevedere una progressione di carriera per gli attuali magistrati onorari, i quali nascono giudici di pace o vice procuratori e vanno in pensione quali gdp o vpo. Un’ulteriore misura potrebbe essere quella di prevedere incentivi certi al raggiungimento di obiettivi oggettivamente predeterminati, al fine di conservare quella efficienza produttiva tipica dei magistrati onorari. Sul punto è bene essere chiari: va assolutamente eliminato ogni riferimento al “cottimo”, misura per certi versi contraria al senso di umanità, in quanto costringe a un superlavoro che non ammette pausa alcuna se si vuole conseguire una retribuzione dignitosa.

Chiediamo pertanto al Governo di evitare l’istituzione di ulteriori commissioni di studio, in quanto poco o nulla dopo trenta anni occorre approfondire, e di adottare invece in tempi rapidissimi una riforma che eviti il blocco della giurisdizione, conforme alle richieste della Commissione Europea e rispettosa dei Trattati UE e della nostra Carta costituzionale e che consenta di raggiungere i risultati previsti dal PNRR, attraverso la velocizzazione dei processi ed il recupero del 2% del Pil.

*Presidente A.I.M.O.