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di Carla Chiappini

Ristretti Orizzonti, 9 giugno 2023

Penso subito al giuramento di Ippocrate quando, entrando in redazione nell’Alta Sicurezza di Parma, vedo Domenico Papalia pallido e completamente calvo dopo la prima infusione di chemio.

“Consapevole dell’importanza e della solennità dell’atto che compio e dell’impegno che assumo, giuro:

  • di esercitare la medicina in autonomia di giudizio e responsabilità di comportamento contrastando ogni indebito condizionamento che limiti la libertà e l’indipendenza della professione;
  • di perseguire la difesa della vita, la tutela della salute fisica e psichica, il trattamento del dolore e il sollievo dalla sofferenza nel rispetto della dignità e libertà della persona cui con costante impegno scientifico, culturale e sociale ispirerò ogni mio atto professionale;
  • di curare ogni paziente con scrupolo e impegno, senza discriminazione alcuna, promuovendo l’eliminazione di ogni forma di diseguaglianza nella tutela della salute…”

(dal Giuramento di Ippocrate)

Domenico ha 78 anni, 54 trascorsi in carcere, di cui gli ultimi 47 senza interruzioni.

È diabetico e malato di cancro, ha chiesto di potersi curare all’esterno presso un convento di Parma ma la magistratura rinvia la decisione sul merito al mese di ottobre. Perché così tardi?

Intanto lui deve affrontare il disagio e la fatica della chemio (che tutti ben conosciamo - se non per esperienza diretta - per aver visto amici o parenti affrontare il percorso accidentato di queste cure) da solo, senza nessuna forma di vicinanza o assistenza.

Quale è il senso di lasciare una persona anziana e sofferente nell’abbandono e nella solitudine di una cella? Come si può conciliare con la promessa di “curare ogni paziente con scrupolo e impegno, senza discriminazione alcuna, promuovendo l’eliminazione di ogni forma di diseguaglianza nella tutela della salute…”

E come si tiene l’articolo 32 della Costituzione quando afferma che: “La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti…”

E che dire di Ciro Bruno 67 anni di cui più di 30 trascorsi in una cella - attualmente detenuto nel Centro Clinico del carcere di Parma (SAI) - che viene recentemente operato per un tumore alla bocca e ricoverato in una stanza dell’ospedale cittadino senza finestra, senza televisione, con video sorveglianza in camera, senza la possibilità di ricevere assistenza da parte dei familiari per cui chiede di rientrare in anticipo in carcere e torna in redazione visibilmente depresso e sofferente?

E che dire poi di noi che assistiamo a tutte queste sofferenze impietose e insensate e dobbiamo fare i conti con questa vergogna di testimoni impotenti, noi che abbiamo scelto di impegnarci come volontari nelle carceri per accompagnare le persone recluse in una riflessione attenta e responsabile sui valori della legalità e della civile convivenza?

E come si spiega l’atteggiamento della Magistratura di sorveglianza che “ha il compito di vigilare sull’organizzazione degli istituti di prevenzione e pena e di prospettarne al Ministero della Giustizia le varie esigenze, in particolare quelle relative alla rieducazione e alla tutela dei diritti di quanti sono sottoposti a misure privative della libertà”?

E poi ci sono i Garanti e i giornalisti e le camere Penali. E infine i cittadini.

Come è possibile accettare che persone anziane e seriamente - molto seriamente - malate debbano affrontare una patologia grave e invalidante come il cancro chiuse dentro la cella di un carcere in assoluta solitudine senza il conforto delle persone care?

Ha senso tutto questo? È umano e dignitoso? È civile? È in linea con la Costituzione?

Io penso proprio di no.

*Giornalista coordinatrice della redazione di Ristretti Orizzonti nell’Alta Sicurezza di Parma