sito

storico

Archivio storico

                   5permille

   

di Alberto Cisterna

Il Riformista, 15 febbraio 2023

Bisognerebbe leggere sul tema la relazione al Parlamento del 2022 dei servizi di intelligence e mettere da parte ogni enfasi. L’Italia non fa una bella figura a dirsi ricattata da Cospito e dai suoi. Con il decreto del ministro Nordio che rifiuta la revoca del regime a 41-bis la vicenda Cospito transita in un’altra dimensione dagli approdi imprevedibili al momento.

Il governo, come suo diritto, ha scelto la linea dura e, a dire il vero, si ha l’impressione che ciò sia accaduto - non tanto perché lo Stato sia minacciato dai gesti dimostrativi e dalle proteste violente di quattro scalmanati - ma perché si è creata una irriducibile contrapposizione politica. La visita in carcere al detenuto di alcuni parlamentari dell’opposizione ha mutato l’asse della contesa e ogni diversa soluzione sarebbe apparsa un cedimento e una concessione impraticabile anche alla luce del caso Donzelli. Il prossimo tavolo è tutto giudiziario. La Cassazione tra una decina di giorni esaminerà il ricorso della difesa di Cospito contro il 41-bis e la Procura di Roma metterà sotto torchio esponenti di primo piano della maggioranza e del ministero della Giustizia per comprendere esattamente cosa sia successo nell’aula del Parlamento.

Che la soluzione per Cospito fosse la conferma del carcere duro non è del tutto scontato. Si discute molto in questi giorni della necessità di evitare che il detenuto, dal regime ordinario, possa intrattenere rapporti e collegamenti con l’esterno e con i suoi accoliti che agiscono nel progetto di eversione anarchica. Gli attentati e le proteste di questi giorni hanno dato una mano importante alla linea rigorista, non c’è dubbio. Tuttavia, non si può dimenticare che tutti i detenuti italiani, a eccezione di quelli a regime di 41-bis, hanno costanti rapporti con l’esterno, molti di loro in carcere dispongono di telefoni cellulari, molti sono in cella per spaccio di droga e non si contano i casi in cui dal carcere si continuano a dirigere attività illecite.

Non si può controllare tutto, spesso le imputazioni riguardano reati ritenuti meno gravi (lo spaccio, appunto) e la cosa passa in cavalleria. Quindi il problema non è quello dei “contatti con l’esterno” che, per essere eliminati, richiederebbero campi di concentramento e non le carceri di una nazione democratica. È, piuttosto, come recita l’articolo 41-bis, quello di accertare la effettiva sussistenza di “gravi motivi di ordine e di sicurezza pubblica”; solo questi, infatti, possono consentire che sia sospesa per il detenuto “l’applicazione delle regole di trattamento e degli istituti previsti… che possano porsi in concreto contrasto con le esigenze di ordine e di sicurezza”.

Il filosofo Massimo Cacciari, che pur giurista non è, ha in queste settimane colto pienamente la rilevanza della vicenda Cospito secondo questa, imprescindibile traiettoria. La Procura nazionale antimafia e antiterrorismo, a quanto si legge, avrebbe reso al ministro Nordio un parere anfibio, prefigurando la possibilità di un transito del detenuto dal regime speciale 41bis a quello di “alta sicurezza”, sicuramente meno afflittivo. In punta di penna e di diritto non è questione da poco. È il principale osservatorio nazionale sui fatti di mafia e terrorismo; ha un polso sensibile sullo stato della sicurezza pubblica del paese nei suoi risvolti giudiziari (ovviamente), lo spiraglio che avrebbe aperto incrina la possibilità di poter pacificamente affermare che il carcere duro debba essere confermato “senza se e senza ma”.

Per essere chiari: nessuno dubita che Cospito voglia avere contatti con l’esterno e che vi siano prove di questa intenzione nel fascicolo ministeriale; ma la questione è se questi contatti con l’ambiente anarchico possano davvero rappresentare “gravi motivi” che mettano in pericolo la sicurezza e l’ordine pubblico del Paese. Cacciari ne dubita, e non è il solo.

Delle due l’una: o le frange anarchiche contigue a Cospito sono, come la mafia o il terrorismo islamico, una minaccia endemica e permanente, ma allora sarebbe stato e sarebbe lecito attendersi valanghe di arresti a dimostrazione di questa grave pervasività criminale oppure lo squadrismo violento e gli attentati dimostrativi sono l’espressione del fanatismo politico di gruppi di facinorosi che, certo, non mettono in fibrillazione la Nazione. In altri termini: non è che l’Italia ci faccia una gran bella figura a dirsi minacciata e ricattata da Cospito e dai suoi. Si è appena catturato Matteo Messina Denaro, si sta smantellando la rete delle sue complicità, in tutto il mondo si è plaudito alla sconfitta della mafia stragista e oggi si strepitano paure per un anarchico in cella. Sono necessari misura ed equilibrio, soprattutto quando l’intera politica si lascia trascinare in un dibattito che non avrebbe ragion d’essere in nessun altro paese per le circoscritte dimensioni della minaccia.

Il 26 febbraio 2022 è stata presentata al Parlamento la relazione annuale dei Servizi di intelligence sullo stato della sicurezza in Italia e una parte, ovviamente, era dedicata all’eversione anarchica. Un indicatore, come dire, particolarmente attendibile e affidabile, posto che i Servizi di informazione di questi ultimi due decenni nulla hanno a che spartire con il loro opaco e controverso passato.

Chiunque voglia partecipare al dibattito su caso Cospito dovrebbe prima leggere l’analisi sulle componenti anarchico-insurrezionaliste contenuta nella relazione (metà pagina 99 e pagina 100 sulle 136 complessive) e verificare quali siano le azioni poste in essere nel 2021: “Le compagini libertarie hanno partecipato in maniera crescente alle contestazioni contro le misure anti-contagio, facendo registrare, soprattutto sul finire dell’anno in alcune piazze del Nord Italia, tentativi di sobillare i manifestanti ad attaccare i dispositivi delle Forze dell’ordine poste a tutela dell’ordine pubblico” e, ancora, “in linea con tali assunti, è sembrato (si badi bene n.d.e.) porsi l’attacco incendiario del 14 marzo ai danni del portone d’ingresso dell’Istituto Superiore di Sanità di Roma, rivendicato in forma anonima su un sito anarchico creato ad hoc nella primavera del 2020 per seguire in chiave libertaria l’evoluzione dell’epidemia” e, poi, “le evidenze raccolte hanno poi rimarcato il lancio di nuove pubblicazioni, rese particolarmente attrattive anche grazie al contributo teorico di esponenti di spicco dell’anarchismo che, dal carcere, nell’intento di rilanciare le progettualità eversive a marchio FAI/FRI (Federazione Anarchica Informale/ Fronte Rivoluzionario Internazionale), hanno tra l’altro richiamato più volte l’attenzione dei militanti sulla pratica della violenza insurrezionale”. Questo e poco altro. Se il procuratore nazionale e il Sistema di informazione per la sicurezza rendono queste valutazioni, sarebbe opportuno mettere da parte ogni enfasi e sotterrare l’ascia di guerra della propaganda che, a dire il vero, nuoce all’immagine stessa del paese e alla serietà delle tante questioni da affrontare.