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di Walter Massa*

Il Manifesto, 5 ottobre 2023

Libertà, democrazia e partecipazione sono state le parole importanti della giornata nazionale dell’Associazionismo italiano che si è svolta a Roma qualche giorno fa. Un momento, il primo, che si è reso necessario per un sentire comune, largamente diffuso, che vede quei capisaldi della nostra convivenza in serio pericolo. Non è una questione solo nazionale visto che da qualche anno assistiamo ad un sempre più marcato restringimento dello “spazio civico europeo”.

Nell’ultimo discorso sullo stato dell’Unione prima delle elezioni europee, la Presidente della Commissione Ursula von der Leyen, come ricordato dal Forum Civico Europeo, di cui Arci è parte attiva, ha completamente escluso il termine “società civile”, menzionando di sfuggita la parola “democrazia” pur affrontando temi come clima, competitività, parità di genere, geopolitica, migrazioni e lavoro. Non è un caso ma una vera e propria svolta culturale e politica che si basa su due fattori principali che sostanziano le nostre preoccupazioni: le recenti affermazioni di gruppi politici di estrema destra, ora al governo di diversi paesi, e le continue minacce alle libertà in diversi Stati membri, sono lo sfondo macabro e perfetto di questa svolta.

Ungheria, Italia, Svezia, Finlandia e Grecia sono lì a dimostrare la veridicità di queste nostre preoccupazioni e l’evidente tentativo di limitare la “libertà di associazione”, in barba alla nostra Costituzione e ai Trattati europei. E i modi trovati sono i più disparati.

Sempre il Forum Civico Europeo ci ricorda che il Civicus Monitor (una piattaforma europea che traccia e valuta lo spazio civico) ha messo in evidenza le cinque principali restrizioni nell’UE per il 2022 - intimidazioni, molestie, detenzione di manifestanti, attacchi ai giornalisti e censura - con il diritto alla libertà di riunione pacifica ripetutamente preso di mira.

Non solo, in Francia la legge sul separatismo impone a ogni associazione che richiede un finanziamento pubblico di firmare un “contratto di impegno ai principi repubblicani”, che non pare proprio un “contratto”. Risultato? L’associazione Femmes sans Frontières, che aiuta donne vittime di violenza domestica e migranti, è stata accusata di “non rispettare i valori repubblicani” in quanto la sua direttrice, Faïza Boudchar, indossa il velo.

Ancora, nell’ultimo decennio il Regno Unito ha visto un declino delle libertà civiche. Il governo ha approvato una legge restrittiva sulle proteste dando alla polizia maggiori poteri per reprimerle. Anche in Spagna le restrizioni alle libertà civiche si sono intensificate. La legge bavaglio del 2015, nonostante i tentativi di riformarla, è stata utilizzata per colpire manifestanti, militanti, attivisti e giornalisti. In Austria e Finlandia la violenza della polizia durante le proteste ha colpito in particolare gli attivisti per il clima e le loro azioni e non mancano Governi europei, compreso il nostro, pronti a “inasprire le pene” e a seguire le loro orme.

In Italia, oltre a tutto questo e ad un attacco generalizzato e mirato verso le ragazze e i ragazzi, è in atto da tempo un tentativo di colpire l’associazionismo democratico e civico che vive soprattutto di autofinanziamento e attraverso questo difende quel bene prezioso che è la libertà. Un tentativo perpetrato in modo subdolo, con l’intensificarsi della burocrazia e partendo dal presupposto malsano che le associazioni debbano dimostrare di non commettere reati e omissioni con uno Stato completamente incapace di controllare seriamente.

Dagli anni 2000 il volontariato associativo, tanto osannato durante eventi tragici dalle istituzioni di ogni ordine, colore e grado, in realtà è sempre più vessato da scartoffie e fogli da compilare, trasformando quel prezioso tempo da dedicare ad altri o a se stessi dopo il lavoro, in tempo per calarsi nei panni di avvocati e commercialisti. Tempo in cui “avere paura dello Stato”, quello stesso Stato che però ti chiede di sostituirlo nelle politiche di welfare pubblico e di prossimità.

Il risultato è che l’autonomia del sociale per cui ci siamo battuti negli anni 90 è fortemente a rischio come lo è nei fatti l’art. 18 della Costituzione sulla libertà di associazione. Restringere questo spazio di libertà, colpire il “potere” di emanciparsi, crescere e progredire collettivamente, un diritto primario che sta alla base di qualunque forma di auto-organizzazione e di presa di coscienza, è l’elemento più pericoloso di questa tragica stagione politica italiana. Per questo il 7 ottobre a Roma la nostra Via Maestra non può che ripartire dai tre capisaldi fondamentali della nostra Costituzione, libertà, democrazia e partecipazione.

*Presidente nazionale Arci