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di Liana Milella

La Repubblica, 30 ottobre 2023

Nel primo semestre del 2023 la riduzione dei tempi dell’Appello, rispetto al 2019, è stata del 27% a livello nazionale. Nel 2022 invece sono stati 33mila i processi andati in prescrizione in Appello, ma la maggioranza vuole reintrodurla proprio in questo grado di giudizio. La Commissione europea non se n’è ancora accorta, ma la riforma “garantista” della prescrizione, sulla quale Carlo Nordio ha messo il cappello e che la prossima settimana sarà già in aula alla Camera, “garantisce” di perdere sicuramente l’obiettivo del Pnrr.

Parliamo della riduzione - promessa dal governo italiano in cambio dei 2,3 miliardi di euro per la giustizia - del 25% dei tempi del processo penale entro il 2026 in tutti i gradi di giudizio. Ma la nuova prescrizione, oltre a far perdere i fondi all’Italia, fa di più, perché assicura l’impunità a migliaia di imputati in processi che durano da anni, che oggi si trovano in Appello. Imputati che non potranno essere condannati, pur se colpevoli, perché il reato finirà prescritto.

L’ex Guardasigilli Marta Cartabia, con il via libera del premier Mario Draghi - uno che di numeri, di statistiche e di Europa se ne intende - aveva introdotto due anni fa l’improcedibilità (se il processo dura oltre due anni scatta la prescrizione) come primo tassello di una complessiva riforma col preciso scopo di raggiungere l’obiettivo del Pnrr. A inizio d’anno lo riconosceva anche l’attuale ministro della Giustizia Carlo Nordio nella sua Relazione sull’amministrazione della giustizia presentata per l’inaugurazione dell’anno giudiziario. Dove, a pagina 112 è scritto, a proposito del Pnrr e della riforma del processo penale di Cartabia, che “la riduzione dei tempi del processo è altresì funzionale a completare il percorso di riforma avviato con le disposizioni che hanno introdotto l’improcedibilità dell’azione penale”.

Dunque anche Nordio sa bene che proprio l’improcedibilità serve a raggiungere l’obiettivo del Pnrr e per questo Draghi e Cartabia l’hanno voluta e preferita all’altra proposta alternativa della commissione Lattanzi, proprio quella che invece adesso viene ripresa dalla maggioranza. Come hanno scritto sul Sole 24 Ore Gian Luigi Gatta, ex consigliere giuridico di Cartabia e vice presidente della commissione Lattanzi, e il giurista genovese Mitja Gialuz, gli ultimi dati del ministero della Giustizia, quindi usciti dagli uffici di Nordio, confermano che la riforma di Draghi e Cartabia, grazie all’improcedibilità, ha consentito già oggi nel giudizio di Appello di raggiungere l’obiettivo del Pnrr, che però va garantito anche negli altri gradi di giudizio.

Nonostante il Comitato tecnico scientifico nominato da Nordio a febbraio per monitorare l’impatto della riforma Cartabia non abbia ancora prodotto alcuna relazione, come la legge gli imporrebbe invece di fare, i dati nascosti nel sito del ministero di via Arenula, pubblici per quanto mai decantati da Nordio, dicono che nel primo semestre del 2023 la riduzione dei tempi dell’Appello, rispetto al 2019, è stata del 27% a livello nazionale, con una punta del 57% a Napoli dove la durata dell’Appello è passata da 5 anni e mezzo a due anni e tre mesi.

Che succede se la Commissione europea si accorge che ora la maggioranza butta all’aria un meccanismo che ha contribuito a raggiungere l’obiettivo del Pnrr per cambiare tutto e tuffarsi nel nulla? Lo si può considerare un atto di puro autolesionismo alla Tafazzi, il personaggio di “Mai dire Gol” che si martellava felice e contento le parti basse con una bottiglia di plastica. Si butterà via tutto il lavoro fatto fin qui per ridurre i tempi dell’Appello che si allungheranno di nuovo a dismisura perché i magistrati - come già rivelano oggi i presidenti di importanti corti di Appello - dovranno impiegare molto tempo per ricalcolare il termine di prescrizione riprendendo in mano uno per uno migliaia di fascicoli di processi in corso, ai quali bisognerà applicare le nuove norme, che purtroppo sono retroattive. Solo a Venezia, per intenderci, sarebbero oltre tremila i fascicoli per cui ricalcolare il termine.

Ma non basta. Dovranno essere riscritti i progetti organizzativi di tutte le corti d’Appello italiane, ore e ore di lavoro e di risultati raggiunti mandati in fumo. Dovranno essere rifatti tutti i calendari delle udienze che sono approntati sulla base del termine di prescrizione in modo da evitarla nei procedimenti per i reati che tornano di nuovo a prescriversi in Appello e in Cassazione. Spiega Gatta a Repubblica: “L’effetto di una riforma della prescrizione come questa sui palazzi di giustizia è come quella del cambio della data di scadenza dello yogurt nel magazzino di un supermercato: costringe a riprendere in mano migliaia di vasetti e a riordinarli mettendo davanti quelli che scadono prima. E per farlo ci vuole tempo e non è detto che nel frattempo lo yogurt non scada. Succede proprio la stessa cosa con i fascicoli di un procedimento penale”. Per non dire poi delle difficoltà a calcolare il termine di prescrizione in un Paese dove - “vera follia questa” secondo Gatta - le regole vengono cambiate ogni due anni mandando ai matti i magistrati che invece dovrebbero pensare al Pnrr.

Dulcis in fundo, la maggioranza di un Governo che si vanta di essere quello della certezza della pena, e che continua a introdurre nuovi reati e ad alzare le pene, propone di reintrodurre la prescrizione in Appello condannando decine di migliaia di procedimenti penali a prescriversi, garantendo così l’impunità a quanti, senza la nuova prescrizione, sarebbero stati dichiarati colpevoli. Via Arenula dispone anche di questi dati, che però non pubblicizza ma tiene ben nascosti: 33mila processi chiusi con la prescrizione in Appello solo nel 2022. In questi casi la prescrizione è possibile perché sono reati commessi prima del blocco in Appello realizzato con la legge Bonafede, che ha fatto quello che si fa in Germania, dove la prescrizione si ferma dopo il primo grado.

Per chiudere ecco quanti sono - quasi trecentomila - negli ultimi dieci anni i procedimenti andati in fumo in Appello, senza una risposta di giustizia per le vittime. Altro che certezza della pena. A Napoli nel 2022 le prescrizioni in Appello sono state il 52%, a Reggio Calabria, terra di criminalità organizzata, il 57%, a Roma il 42%. È questo il futuro che promette la riforma di Nordio, oltre far perdere i fondi del Pnrr. Eppure il ministero può analizzare i dati, raccolti nel 2018 all’epoca di Bonafede, che dimostrano come la prescrizione in Appello sia una falcidia di reati, e proprio basandosi su questi dati Bonafede l’aveva bloccata.

Ma ecco un elenco per rendersi conto di cosa è avvenuto finora. Tra i trenta reati maggiormente prescritti in Appello ci sono i reati edilizi (57%), quelli sui beni culturali e il paesaggio (53%), la violazione di sigilli (49%), i falsi dei privati in atto pubblico (41%), le contravvenzioni del codice della strada, compresa la guida sotto l’effetto di alcol e stupefacenti (42%), la calunnia (39%), i reati tributari (34%), l’appropriazione indebita (35%), la contraffazione dei marchi (36%), nonché i maltrattamenti contro familiari e conviventi (12%), il furto (21%), la ricettazione (26%), la truffa (30%), le contravvenzioni in materia di immigrazione (26%), la violenza privata (22%), l’evasione (17%), la violazione della misura di prevenzione della sorveglianza speciale, la resistenza a pubblico ufficiale (17%), il traffico di stupefacenti (12%), le lesioni personali (16%). Ma evidentemente anche questi dati non fanno impressione, oppure non vengono neppure letti.