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di Paolo Delgado

Il Dubbio, 15 luglio 2023

Durante il colloquio con Meloni il capo dello Stato ha suggerito prudenza su alcune norme e toni più pacati. Forse non sarà una vera pace ma di certo quella che Mattarella ha imposto è qualcosa in più di una semplice tregua armata come tante. Il capo dello Stato ha impresso un cambio di direzione: starà ora alla politica, cioè a governo e maggioranza, e alla magistratura cogliere l’occasione.

Il presidente, lavorando di fioretto, comparendo il meno possibile, affidando probabilmente a trattative discrete il compito di dissodare il terreno ha ottenuto, ancora prima dell’incontro di giovedì con Giorgia Meloni, uno dei risultati a cui teneva di più. Poco prima che i presidenti della Repubblica e del Consiglio si appartassero, al termine della riunione sul Colle del Conisglio Supremo di Difesa, il sottosegretario Mantovano faceva piazza pulita di ogni fantasia di ridimensionare il concorso esterno in associazione mafiosa.

Forse non si esagera affermando che quella ventilata riforma rappresentava per il Colle la preoccupazione principale, perché riassumeva in sé tutte le turbolenze legate allo scontro con la giustizia. Per il potere togato sarebbe stata una dichiarazione di guerra senza quartiere perché gli inquirenti sarebbero stati privati di una delle armi essenziali che adoperano nelle inchieste sulla criminalità organizzata. Le critiche su quella fattispecie di reato abbondano da anni: è un elastico che ciascun magistrato può tirare a piacimento, la vaghezza stessa del reato permette di strappare molte più condanne che non nei casi di abuso d’ufficio o traffico di influenze. La scelta di intervenire del ministro Nordio non era affatto peregrina ma resta un fatto che lo scontro sarebbe stato violentissimo. In secondo luogo, ma per certi versi era proprio questa la preoccupazione principale, l’Europa avrebbe fatto fuoco e fiamme e soprattutto avrebbe interpretato l’intervento governativo come segnale di inaffidabilità del governo italiano nel contrastare la criminalità. Infine il conflitto con l’opposizione avrebbe riportato seduta stante il clima politico al livello delle guerre berlusconiane sulla giustizia. Il passo indietro del governo è dunque per il presidente di piena soddisfazione.

Mattarella mira anche a modifiche significative del ddl giustizia che si accinge comunque a firmare. La cancellazione secca dell’abuso d’ufficio è un’altra voce che Bruxelles ritiene inaccettabile, anche dal punto di vista formale dal momento che contrasta con le disposizioni europee. Il traffico di influenze, l’altra fattispecie di reato cancellata dal ddl, non presenta gli stessi problemi formali ma sarebbe lo stesso interpretato come segnale allarmante dall’Europa. Prendere posizione apertamente significherebbe per il Quirinale navigare in direzione opposta a quella che intende seguire il presidente: porterebbe a una ulteriore drammatizzazione, alzerebbe la tensione invece di abbassarla. Mattarella punta invece su una sorta di soluzione pacifica: nessuna esposizione del Colle, se non per via indiretta, riaffermando quando capiterà l’occasione la necessità di non arretrare di un passo nella lotta contro la criminalità. Si aspetta però che governo e maggioranza non blindino il provvedimento nel passaggio parlamentare e si dispongano anzi ad accogliere o apportare alcune modifiche, quelle necessarie per rendere la legge accettabile dall’Unione.

Per sapere quanto sarà accolto il suggerimento, per non dire l’esplicita richiesta, di Mattarella bisognerà aspettare che la legge arrivi al vaglio delle Camere, anche se sembra di capire che Giorgia Meloni avrebbe mostrato disponibilità. È appena il caso di notare che ammorbidimenti del testo veicolerebbero automaticamente un certo disgelo con la magistratura ma anche, magari in modo inconfessato, con le opposizioni stesse, in particolare con il Pd. Mattarella è troppo attento alla più rigorosa correttezza per discutere una legge che ancora non esiste o per sconsigliare a un governo di dar seguito al programma col quale si è presentato alle elezioni. Quel che può fare e che sta facendo è adoperarsi per svelenire il clima, attenuare le frizioni, stemperare lo scontro. In una situazione quasi pacificata, diventerebbe ancor più improbabile che la premier si decida a intraprendere una crociata, quella sulla separazione delle carriere, che quanto meno non la appassiona.

La scommessa del capo dello Stato, stavolta, non è persa in partenza. Una magistratura infinitamente più debole che in passato tiene nella sostanza bassi i toni ed è chiaro che non mira allo scontro. Il governo, tanto più dopo la scomparsa di Berlusconi, l’unico leader davvero interessato alla riforma della giustizia, è ben poco ansioso di lanciarsi in una guerra sul fronte sempre delicatissimo della giustizia. Le condizioni perché l’intervento del presidente abbia successo ed eviti il ritorno alla sfida permanente tra politici e togati sono stavolta ottimali.