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di Giulio Sensi

Corriere della Sera, 12 dicembre 2022

Cresce il numero di chi chiede l’affidamento all’Ufficio di esecuzione penale esterna. La possibilità di scontare il periodo fuori dal carcere è prevista per i reati non gravi. L’emergenza sulle condizioni di detenzione.

Scontare la pena fuori dal carcere o vedersi sospeso il processo con una misura come la cosiddetta “messa alla prova” per i reati non gravi non è un’utopia, favorisce il recupero e il reinserimento del condannato e può garantire un notevole risparmio per le casse dello Stato, evitando il sovraffollamento delle strutture penitenziarie. In Italia è in crescita il numero di persone che chiedono la sospensione del procedimento penale e l’affidamento all’Ufficio di esecuzione penale esterna (gli Uepe, organizzati su scala regionale). I numeri della messa alla prova hanno raggiunto i 25.000 individui (erano quasi 24.000 alla fine del 2021) e sono cresciuti esponenzialmente dal 2014 quando, la legge 67 del 28 aprile modificò il codice penale con la previsione di questa misura, per reati puniti con pene fino ai quattro anni, anche per gli adulti dal momento che è utilizzata da sempre per i minori. Nonostante tale importante novità nel sistema penale italiano, i numeri della popolazione carceraria rimangono alti perché coinvolge persone con pene che difficilmente si sarebbero scontate in carcere. Ma la legge proposta dall’ex Ministro della giustizia Marta Cartabia per l’efficienza del processo penale, approvata ad agosto e che è in attesa di attuazione, favorirebbe le sanzioni sostitutive. Il nuovo governo ne ha sospeso l’entrata in vigore fino a fine anno, annunciando modifiche al testo.

“Le misure dell’area penale esterna - spiega la coordinatrice dell’associazione Antigone Susanna Marietti - sono tante. Ci sono le classiche alternative che sono la semilibertà, la detenzione domiciliare e quella che è la più aperta di tutte perché garantisce un contesto socializzante incline al recupero: l’affidamento in prova ai servizi sociali. Sono misure possibili con il modello italiano di pena, un modello flessibile, dato che il giudice in sede di condanna infligge un certo numero di anni di reclusione che non sono per forza gli stessi che il condannato sconterà. Dopo subentra quello di sorveglianza che può far guadagnare pezzi di libertà in caso di buona condotta e in risposta ad un piano di reintegrazione sociale”. “Il dato a cui guardare con attenzione quando si valuta con favore l’esecuzione penale esterna - aggiunge Marietti - è quanto tali misure vadano a erodere i numeri del carcere. Tutto in Italia è parametrato al carcere e le sanzioni sostitutive previste fino ad oggi, semidetenzioni e libertà controllata, non hanno funzionato”.

Se guardiamo ai numeri, contenuti annualmente nel rapporto di Antigone, in effetti la crescita delle misure alternative non ha abbattuto quelli della popolazione carceraria. “Dal 2010 - precisa Marietti - l’Italia, con i ministri della giustizia Alfano prima e Severino poi, ha iniziato a tagliare la popolazione carceraria, favorendo soprattutto la detenzione domiciliare per parte della pena, in genere quella finale. Ma è la misura più vuota di contenuto riabilitante perché reclude in casa il detenuto e lo inserisce poco nel contesto sociale e lavorativo”.

Oltre alla messa alla prova, in Italia ci sono anche i lavori di pubblica utilità che sono sostitutivi alla pena e vengono dati direttamente in sentenza. È una misura che riguarda soprattutto, ma non solo, la grande massa di persone responsabili di reati in violazione del codice della strada, circa 10.000 in questo momento. C’è molta attesa rispetto a quello che sarà l’impatto della riforma Cartabia che vuole rivitalizzare l’ambito delle sanzioni sostitutive alla pena le quali potranno essere assegnate dal giudice di merito. Prevede l’innalzamento di limite di pena che può essere rimpiazzata da esse e un loro allargamento, anche per andare a sanare l’enorme problema dei “liberi sospesi”: una popolazione stimata di oltre 80.000 persone che, condannati ad una pena carceraria bassa, sono ancora in attesa della alternativa che i Tribunali di sorveglianza, sovraccarichi di lavoro, impiegano molto tempo ad assegnare.

Abbattere la recidiva - La scommessa, seppur sia ancora timida in Italia, non si vince però senza favorire la rieducazione. “E soprattutto senza il Terzo settore - afferma Ornella Favero, presidente della Conferenza Nazionale Volontariato Giustizia che riunisce enti, associazioni e gruppi impegnati quotidianamente in esperienze di volontariato nell’ambito della giustizia - in Italia non ci sarebbe rieducazione. Significa per gli autori di reato mettersi in gioco, lavorare sul tema della responsabilità perché la società deve sperare che le persone non escano incattivite dal carcere o dallo sconto di pena, ma consapevoli del danno e del dolore che hanno provocato. Parliamo di una popolazione carceraria composta in maggioranza da persone disagiate, che vivono condizioni di povertà o di dipendenza”.

In Italia sono migliaia le realtà attive in ogni territorio: fanno attività educative dentro alle carceri e promuovono percorsi di reinserimento sociale e lavorativo. “Percorsi - conclude Favero - che garantiscono l’abbattimento della recidiva perché l’accompagnamento è fondamentale per il recupero”.