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di Michele Passione*

Ristretti Orizzonti, 24 febbraio 2024

In un bel volume di qualche anno fa (La Corte nel contesto) la Prof.ssa Tega rilevava come “ragionare per stagioni significa riconoscere che il ruolo della Corte […] cambia nel tempo, anche se non cambiano le disposizioni costituzionali a essa dedicate. Ciò che muta è il contesto complessivo: il tipo di domande rivolte alla Corte da una società che è sempre più insoddisfatta delle risposte della politica e si rivolge agli organi di garanzia, chiedendo loro di intervenire a tutela, ad esempio, delle libertà civili e sociali […]”.

Non c’è da stupirsi, poiché non è possibile pensare “che, proprio laddove vengono in rilievo i diritti fondamentali della persona innanzi alla potestà punitiva pubblica, la Corte debba arrestare il proprio sindacato nei confronti di disposizioni costituzionalmente illegittime, che offendono la libertà personale” (Lattanzi).

Le garanzie, i diritti; quelli che stentano a farsi strada e che a volte vengono negati, quelli che si pensa di poter accrescere e far fiorire andando a Corte, ieri son finiti miseramente soffocati in un imbuto pisano e sul lungarno fiorentino, col su e giù dei manganelli sulle teste di ragazzini increduli.

Nella società delle immagini, che spesso impedisce riflessioni più distese e meditate, accade che un video si imponga con la forza del vento; li abbiamo visti, ieri, quei colpi vibrati senza motivo, quelle urla di figli nostri, che si chiedono perché. Li abbiamo visti, ancora una volta, messi a terra con lo Stato in-borghese che li sovrasta e li tiene giù, per soffocare le idee (qualunque esse fossero), il dissenso, se ancora si può. Abbiamo visto il sangue colare sui volti bambini e le divise lordate dal tradimento costituzionale di chi storce il proprio ruolo pervertendolo per scagliarsi contro chi andrebbe sostenuto.

Ordine pubblico, ordine nuovo. Si aumentano pene, reati, galere; si fa strame di diritti e si chiudono spazi. Si alza il braccio (presente!) e se ne storcono altri. Le ragioni mondane contano, ed è proprio il contesto che slatentizza malumori, favorisce la ricerca del nemico, anche se ha quindici anni; fa pensare a qualcuno che ora si può.

Un colpo in testa, e si infrange l’innocenza. “Gestire la piazza”, si dice, è una brutta espressione e operazione complicata; non è fare gesti con le braccia, ma comprendere e affrontare ciò che avviene. Riconoscere l’altro, sentirlo come prossimo, non altro da te.

Quei colpi vigliacchi allontanano, dalla Politica, dalla fiducia, dal sentirsi cittadini, e non sudditi; ferite più profonde, di cui dobbiamo avere cura.

*Avvocato