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di Goffredo Buccini

Corriere della Sera, 9 settembre 2023

La rinascita della Commissione parlamentare, cancellata dalla maggioranza Lega-M5S, è un’ottima notizia. I dimenticati stanno tornando di moda. Con la brutalità della cronaca nera esasperata da un’assenza di interventi fin troppo protratta, le nostre periferie urbane si ripropongono al centro dell’agenda politica ad appena nove mesi dalle elezioni europee. Al netto di un sempre auspicabile sussulto di sensibilità sociale nelle stanze dei bottoni, la spiegazione più semplice di questa nuova attenzione è che esse sono un immenso serbatoio di voti dispersi, il cui recupero pur molto parziale potrebbe garantire una bella spinta nella competizione di giugno 2024.

Alle elezioni amministrative del 2021, per dire, nel municipio romano delle “Torri” (Tor Bella Monaca, Torre Maura, Torre Angela), il più degradato della Capitale, ha votato appena il 32% degli aventi diritto, con un crollo ulteriore al 27% nelle Regionali di quest’anno. Nella Caivano oggi simbolo d’ogni male, l’affluenza è scesa di 16 punti tra le due più recenti consultazioni, pur attestandosi alle politiche attorno a un 49% sostenuto dalla campagna pentastellata sul reddito di cittadinanza che in alcune realtà di disagio estremo è stata forse fraintesa come voto di scambio.

Di sicuro le periferie (geografiche, economiche o esistenziali che siano) sono ciò che viene più facile esorcizzare in momenti di relativa tranquillità congiunturale: “Non siamo noi”, “è quel che basta per mettere tutto a distanza anche con cuore dolente”, notava Lucia Annunziata sulla Stampa. Ma sono anche ciò che diventa attualissimo nei periodi di vacche magre, con conseguenze politiche spesso rilevanti. Nella seconda metà degli anni Dieci, quando si sommarono gli effetti della crisi economica a quelli della crisi migratoria, la morte della diciottenne Pamela Mastropietro, massacrata a Macerata da un profugo nigeriano, provocò un’ondata xenofoba che ribaltò i rapporti di forza nel centrodestra decretando l’ascesa elettorale di Matteo Salvini.

Molti indicatori ci dicono adesso che sulle periferie e sulle loro stratificazioni di ultimi e penultimi si stanno riaddensando nuvole di tempesta. Dopo il Covid, che tutto ha paralizzato e peggiorato, ecco una nuova stagione di ristrettezze, con inflazione, caro bollette, mutui e benzina alle stelle, lavoro povero, esodati del reddito, masse di migranti alle porte. È una miscela infiammabile che ha trovato una miccia in Caivano e nel suo disastrato Parco Verde con annessa catena di orrori ed errori. Giorgia Meloni, cresciuta in una destra che nei ghetti urbani aveva la sua constituency, ne ha colto la pericolosità sin dalla visita alla cittadina dell’hinterland napoletano, spingendo ministri, prefetti e forze dell’ordine a un’ostensione muscolare di cui non conosciamo, al momento, intensità e durata. I blitz, sia pure simbolici e in favore di telecamere, hanno comunque il merito di rivendicare allo Stato il controllo delle tante “Caivano d’Italia”. Un decreto tarato su bande giovanili e povertà educativa mostra, se non altro, la volontà di prendere in carico una situazione incancrenita: perché l’eterno disastro delle periferie si è incarnato e moltiplicato nel disagio dolente di una generazione di malacarne-bambini, abbandonati da tutti e pronti a tutto. L’idea di spaventarli con un Daspo urbano (inutilmente tentato da Minniti contro la microcriminalità nel 2017) sa un po’ di grida manzoniana. Così come la sacrosanta sanzione penale ai genitori che non li mandano a scuola può risolversi in un colpo a vuoto se i primi ad annaspare nella droga o nei sottoscala delle mafie sono magari proprio quei genitori.

Sicché la strada più promettente appare come sempre la più lunga. Nel nostro caso, quella tracciata dal ministro Valditara, con più docenti per i ragazzi caivanesi e non solo: il famoso esercito di maestre elementari con cui Gesualdo Bufalino pensava di battere la mafia. Bisogna naturalmente creare poi dignitose condizioni perché questi docenti accettino la cattedra e restino in zona. “Gli abitanti di Caivano sono eroi”, ci spiegavano i carabinieri. E così veniamo al tasto dolente, fuori dai proclami draconiani e dai reportage “embedded”. L’esecutivo deve sbarazzarsi del fastidioso sospetto di minacciare tratti di corda non avendo da dispensare il becco d’un quattrino. Le amministrazioni locali sono ancora sotto choc per il taglio di tredici miliardi, di cui 2,5 per risanare le periferie più devastate e 3,3 per la rigenerazione urbana: migliaia di progetti previsti in origine dal Pnrr, Scampia e Corviale in prima fila. I progetti “da mille euro sulle ringhiere” sono incompatibili con gli obiettivi strategici di innovazione e infrastrutturazione del Piano, sostiene il governo, pur assicurando che gli interventi verranno spostati su altre voci di bilancio.

Nei prossimi giorni il ministro Fitto, plenipotenziario di Meloni sul Pnrr, vedrà il forzista Alessandro Battilocchio, presidente della nuova Commissione parlamentare sull e periferie, per ragionare del salvabile. La rinascita della Commissione, cancellata nella scorsa legislatura dalla maggioranza Lega-Cinque Stelle, è già di per sé un’ottima notizia. Ci racconta cifre d’un mondo nel quale non dovrebbe essere richiesto l’eroismo della sopravvivenza e dove invece, solo per restare nel Napoletano, si contano il 40% di patrimonio edilizio in pessime condizioni, il 14% di famiglie ad alto disagio economico e il 25% di ragazzi “neet”, fuori dal lavoro e dalla formazione. Il vice di Battilocchio, il pd Roberto Morassut, propone di inserire in Costituzione, all’articolo 44, un comma nel quale la Repubblica riconosce le periferie con la loro “specificità” come potenziale limite alla “piena parità dei diritti sociali e di cittadinanza”, indicandone “la rigenerazione” quale priorità. In fondo, canonizzare i ghetti urbani come grande questione democratica potrebbe servire anche ai più smemorati: per non ricominciare tutto daccapo a ogni campagna elettorale.