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di Edmondo Bruti Liberati

La Stampa, 27 luglio 2023

L’opposizione chiede le dimissioni di un ministro, la maggioranza respinge la mozione. Tutto rientra nella fisiologia del dibattito parlamentare. Ma non lo è la motivazione adottata dalla maggioranza: il ministro sarebbe “dimissionato” qualora intervenisse il rinvio a giudizio. Delegare una scelta squisitamente politica, come lo è la nomina o la sfiducia per un ministro, ad una decisione della magistratura, per di più in una fase iniziale della procedura giudiziaria, è una grave alterazione del rapporto politica/magistratura. Quel giudice che in ipotesi dovesse pronunziarsi sul rinvio a giudizio, e, prima ancora, il pubblico ministero che dovesse scegliere tra l’alternativa dell’archiviazione o della richiesta di rinvio a giudizio dovranno forse porsi il problema delle conseguenze politiche delle loro scelte, una volta che si fosse affermata la dottrina dell’automatismo rinvio a giudizio/dimissioni? E poi dimissioni dopo il rinvio a giudizio sempre e comunque, per qualunque reato? E la presunzione di innocenza non dovrebbe far scattare l’automatismo alla sentenza definitiva?

Il parlamento si ritrae dal sovrano apprezzamento se circostanze e dati di fatto emersi da inchieste giornalistiche abbiano riflessi sulla “onorabilità” di un esponente politico. Il requisito della “onorabilità” è richiesto da ultimo dal Decreto del Ministro dell’Economia e delle Finanze 169/2020 per esponenti aziendali di banche e intermediari finanziari. È capitato persino di sentire l’argomento: ma è mai possibile che un’inchiesta giornalistica faccia cadere un ministro? Sì è possibile, non solo ma, fuori d’Italia, è normale e si arriva ben più in alto di un ministro? Ricordano nulla nomi come Bob Woodward e Carl Bernstein, Washington Post, Watergate? Ministri, responsabili politici, capi di Stato si sono dimessi per valutazioni politiche, a prescindere da iniziative giudiziarie, spesso neppure iniziate.

Karl-Theodor zu Guttenberg, già segretario generale del partito Csu, Ministro tedesco della difesa, il 1 marzo 2011 si dimette da ogni incarico dopo che sulla stampa è stato segnalato il plagio di numerosi brani nella sua tesi di dottorato in diritto internazionale del 2006. Sebastian Kurz, leader del Partito Popolare Austriaco, per due volte Cancelliere federale, nel 2021 si dimette dal cancellierato e annuncia il ritiro dalla vita politica a seguito dell’accusa di aver usato fondi pubblici a fini di partito, tra il 2016 e il 2018, quando era Ministro degli Esteri.

Christian Wulff, già presidente del partito Cdu, è Presidente della Repubblica Federale Tedesca dal 30 giugno 2010. Il 16 febbraio 2012 la procura di Hannover chiede la revoca dell’immunità prevista per il capo dello Stato in relazione ad una indagine per un finanziamento di 500.000 euro con un mutuo a tasso agevolato del 4%, che Wulff avrebbe ottenuto da un amico imprenditore, per la realizzazione di un appartamento in Bassa Sassonia, in cambio di favori.

Il giorno dopo si dimette: il 27 febbraio 2014 è stato assolto dal Tribunale di Hannover dall’accusa di corruzione. Helmut Kohl, presidente onorario del partito Cdu, artefice della riunificazione tedesca, quando nel 2000 emergono cospicui finanziamenti che aveva ricevuto in nero per la sua carriera politica si dimette da ogni incarico. Dominique Strauss-Kahn, esponente di spicco del Partito Socialista francese, già ministro in dicasteri economici, dal 1º novembre 2007 direttore generale del Fondo monetario internazionale, nonché potenziale candidato alle elezioni presidenziali francesi, il 14 maggio 2011 è arrestato a New York con l’accusa di tentata violenza sessuale ai danni di una cameriera di un albergo; quattro giorni dopo rassegna le sue dimissioni dalla carica di Direttore del Fmi. La procura di New York successivamente archivia il caso. Questa nuova “dottrina” nostrana insidia il ruolo fondamentale che la libera stampa deve svolgere in una democrazia. Apparentemente rispettosa della magistratura è una alterazione del rapporto politica giustizia, non meno grave di un precedente spesso dimenticato. Il Senato della Repubblica con la mozione approvata il 5 dicembre 2001 censura provvedimenti giudiziari pronunciati in processi in corso che vedono come imputato il presidente del Consiglio, senza che il presidente del Senato, sen. Marcello Pera, abbia osservato alcunché sulla stessa ammissibilità del testo. Urge ritornare ad un corretto rapporto tra i tre poteri tradizionali e anche con il quarto potere, la stampa.