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di Vladimiro Zagrebelsky

La Stampa, 16 ottobre 2023

Il provvedimento del tribunale di Catania, in persona della giudice Apostolico - condiviso da altro giudice dello stesso tribunale e poi anche da altri tribunali - ha suscitato polemiche esasperate, che vanno oltre la sua specifica portata. Il dissenso del governo si concretizzerà nell’impugnazione di quelle decisioni, con il ricorso in Cassazione, così come previsto dalla legge. Nell’atto di impugnazione gli argomenti saranno ovviamente di natura giuridica, in modo tale da poter essere accolti o respinti dalla Cassazione.

Il cuore della questione riguarderà il punto centrale del provvedimento con il quale è stata negata la convalida del trattenimento di alcuni migranti nel Cpr di Pozzallo. Si tratta - come ritenuto dai giudici - del contrasto della legge con la normativa dell’Unione europea, con la conseguenza che la legge nazionale non può essere applicata, per il primato - costituzionalmente previsto - delle norme europee. È un principio ovvio e vincolante per tutti gli Stati dell’Unione. Ma insieme all’ipotesi drastica della disapplicazione della legge, il sistema prevede altre vie per armonizzare il diritto nazionale con quello europeo.

È possibile, nei vari casi, la proposizione da parte del giudice di una questione di costituzionalità che verrà decisa dalla Corte costituzionale, oppure la richiesta alla Corte di giustizia dell’Unione di dire se la legge nazionale sia compatibile con il diritto europeo. Nell’un caso e nell’altro la questione viene decisa con effetto vincolante per tutti e non caso per caso dai singoli giudici. Il sistema è articolato, complesso e molto tecnico. L’adozione di una o altra soluzione è particolarmente rilevante per il fatto che, come in questo caso, la decisione del giudice di convalidare o meno il trattenimento del migrante è immediatamente esecutiva, senza che la successiva impugnazione abbia effetto sospensivo.

Intanto abbiamo assistito ad una incredibile campagna del ministro Salvini e dei suoi colleghi di partito contro la persona della giudice Apostolico, con l’evidente scopo di intimidire ogni altro giudice che nella interpretazione ed applicazione della legge osasse orientarsi in senso difforme dalle attese del governo. Ovviamente i giudici, in uno Stato di diritto retto dalla separazione dei poteri, svolgono un ruolo di controllo di legalità anche degli atti governativi e della stessa legge quando essa appaia contraria alla Costituzione o agli obblighi internazionali. Ed è questo il punto da esaminare da chi voglia discutere i provvedimenti del Tribunale di Catania e quelli conformi di altri giudici.

Finalmente, dopo che a lungo dal governo sono venute voci di condivisione dell’aggressione alla persona della giudice, è venuta l’esposizione civile e per più versi condivisibile di Alfredo Mantovano, sottosegretario alla Presidenza del Consiglio. La sua visione del ruolo del giudice è probabilmente datata e confliggente con la realtà di un ordinamento giuridico complesso come quello attuale, nei suoi vari livelli, che mettono il giudice nella necessità di effettuare scelte, che sono sì tecnico-giuridiche ma non le uniche possibili. E ciò anche quando la legge non contenga termini intrisi di rinvii ad opzioni valoriali. La questione ora affrontata dai giudici si inserisce appunto in un sistema normativo complesso e aperto a soluzioni diverse. È da sperare che la Cassazione sia messa in condizione di pronunciarsi rapidamente.

Ma - qualunque sia la sentenza che pronuncerà la Cassazione - la vicenda si caratterizza per l’inusitato attacco alla persona della giudice Apostolico, ignorando il fatto che il suo provvedimento è motivato in diritto e in diritto può essere criticato e dalla Cassazione può persino essere annullato. Nessun rilievo ha ciò che viene contestato alla giudice, anche usando un video tenuto in caldo per anni e poi, quando utile, fatto emergere con un click, digitando il nome che interessa. Esso la ritrae partecipante ad una legittima manifestazione, con cui si chiedeva che alcuni migranti, recuperati in mare e trattenuti a bordo di una nave militare italiana, venissero lasciati sbarcare e ammessi alle procedure previste dalla legge sulla protezione internazionale. Si dice che, per quella sua partecipazione, la giudice avrebbe dovuto astenersi dal giudicare il caso: essa avrebbe dimostrato di essere pro-migranti e anti-Salvini. Ma il dovere di astensione per il giudice opera quando vi sia diretto e specifico rapporto tra il caso da giudicare e sue precedenti prese di posizione. E il fatto, del tutto diverso, è di cinque anni orsono, quando il caso che essa ha deciso non era nemmeno immaginabile.

Strumentale, infondato, gravemente aggressivo nei confronti della magistratura tutta, del suo ruolo e delle sue garanzie costituzionali; questo è in realtà la campagna lanciata contro la giudice di Catania. Infatti il ministro Salvini ne trae che occorre riformare la magistratura: per far sì che operi senza dispiacere al governo? Ciò detto però, ai magistrati si può chiedere responsabilità: non per sé, ma per non esporre troppo la magistratura. Il discorso sulla partecipazione dei magistrati al dibattito politico è complesso, così come quello sui limiti alla loro libertà di espressione. Esso si atteggia diversamente nella grande varietà dei casi e delle forme, ma non può ignorare il contesto sociale e politico del momento. Non tutto ciò che è lecito, cioè non punibile, è anche opportuno. Le posizioni di Salvini trovano approvazione nell’elettorato, anche oltre quello proprio della Lega, proprio in tema di immigrati e di giustizia. È allora il caso di invitare i magistrati a non provocare - con il loro comportamento fuori dell’esercizio delle funzioni - ondate critiche, che facilmente colpirebbero la magistratura nel suo complesso e le renderebbero ancor più difficile l’esercizio rigoroso e indipendente del suo ruolo costituzionale.