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di Andrea Morniroli e Chiara Saraceno

La Stampa, 4 ottobre 2023

Il tema della povertà educativa, per la quantità drammatica di ragazzi e ragazze che coinvolge e per i profondi divari di classe, di genere e territoriali che manifesta, è una questione che riguarda la possibilità stessa di uno sviluppo giusto del Paese. Non l’esito dello sviluppo ma il suo presupposto. Basta pensare che a 50 anni dalla Lettera a una professoressa di don Milani, il 90 per cento di quanti abbandonano precocemente la scuola, o non la terminano con le competenze necessarie, non faticano solo a trovare lavoro ma anche a esercitare i propri diritti di cittadinanza. Se non hanno alle spalle una famiglia attenta, capace di offrire loro modelli positivi di vita e relazione, sono anche esposti al rischio della devianza e della criminalità, come segnala lo studio del team di esperti di polizia, carabinieri, guardia di finanza e polizia penitenziaria della Direzione analisi criminale interforze e dall’Università Cattolica di Milano di cui ha riferito questo giornale pochi giorni fa.

In tante periferie geografiche, economiche e sociali del Paese, costruire alleanze che sappiano unire tutti i soggetti pubblici e privati nell’obiettivo comune di rimettere la scuola, l’educazione, la formazione e le pari opportunità per tutte le bambine, bambini e adolescenti di sviluppare appieno le proprie capacità al centro della politica e delle politiche, è una strada indispensabile alla costruzione delle condizioni per superare disuguaglianze, povertà e rischio di esclusione sociale. È indispensabile anche per promuovere uno sviluppo equo e sostenibile dei luoghi dal punto di vista sociale e ambientale.

Il prossimo 6 ottobre a Roma la rete di reti “educAzioni”, più di 400 realtà tra scuole, associazioni, cooperative, sindacati, associazioni di categoria ed esperti di settore, ha organizzato, all’interno dell’Istituto di istruzione superiore Leonardo Da Vinci di via Cavour 258, la presentazione pubblica di un vademecum per la costruzione dei patti educativi di comunità, nato dal confronto tra decine di esperienze in giro per l’Italia. Esperienze che in questi anni, anche attraversando il periodo duro della pandemia e della DAD, nel concreto, sui territori, con le scuole, i comuni, il civismo attivo hanno contrastato la povertà educativa, accompagnato migliaia di alunni e alunne fragili a non perdersi, a rafforzare i loro percorsi scolastici e a mantenere una relazione stabile tra loro, la scuola e le famiglie. Sono stati anche uno strumento per attivare e collegare quelle energie locali senza le quali la povertà economica, sociale e culturale dei contesti più difficili non può essere affrontata. Certo non con la sola repressione e con la militarizzazione dei luoghi, come è avvenuto con il decreto Caivano. Non basta neppure il, pur importante, aumento del numero di insegnanti e del tempo scuola, perché occorre (ri-)costruire pazientemente nei luoghi di vita dei ragazzi e delle ragazze legami sociali di collaborazione e fiducia e spazi insieme fisici e relazionali sicuri e ricchi di stimoli e opportunità.

L’obiettivo dell’incontro, aperto a chi opera sia nella scuola sia nei servizi sociali e sanitari, nelle istituzioni culturali e nelle organizzazioni della società civile, è appunto quello di sollecitare la politica nazionale e locale ad assumere la costruzione di patti educativi di comunità come strumento di contrasto alla povertà educativa, di renderla politica pubblica ordinaria, non casuale o eccezionale e affidata esclusivamente alla buona volontà di insegnanti e direttori didattici generosi. Ciò richiede innanzitutto un impegno delle istituzioni pubbliche, a partire dal Ministero dell’Istruzione e del merito. In questa prospettiva non è un segnale incoraggiante che il Ministro non abbia ritenuto opportuno accogliere l’invito all’incontro, o almeno a delegare qualcuno in sua vece. La costruzione di patti educativi tuttavia richiede anche la disponibilità da parte della società civile organizzata ad uscire dal proprio particolare e a collaborare con altri entro un progetto comune.

Investire nei patti educativi significa rimettere al centro dell’attenzione i diritti dei bambini e delle bambine, delle ragazze e dei ragazzi: dei tanto citati “giovani” che troppo spesso poi scompaiono dalle attenzioni dei governi e dalla priorità della politica. Un’assenza che fa pensare all’Italia non solo come uno dei paesi più vecchi al mondo, ma anche come uno tra i più egoisti, visto il debito e i rischi climatici e ambientali che noi adulti stiamo scaricando sulle spalle dei nostri figli e dei nostri nipoti, senza neppure preoccuparci del destino di emarginazione in cui troppi di loro sono avviati a causa di un inadeguato investimento nei processi e contesti educativi, scolastici e non.