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di Mario Pierro

Il Manifesto, 15 giugno 2023

Lavoratori poveri: per Eurostat l’Italia supera la media europea. Per l’Istat la loro condizione non è cambiata dagli anni della pandemia anche se la crescita avrebbe diminuito il numero di coloro che versano in una povertà estrema. Nel frattempo procedono i lavori parlamentari in vista della conversione del “Decreto lavoro” che rinomina il “reddito di cittadinanza”. Sindacati e opposizioni chiedono modifiche: “Questo governo non fa nulla contro le diseguaglianze”.

La povertà non dà tregua, la precarietà persiste anche se i redditi aumentano dopo il Covid. Quasi un quarto della popolazione - il 24,4%, pari a 14,3 milioni di persone - nel 2022 era a rischio povertà o esclusione sociale. Secondo l’Istat, che ieri ha pubblicato un nuovo rapporto, sarebbero 11,8 milioni le persone a rischio povertà (il 20,1%), 2,6 milioni gli individui in condizione di grave deprivazione materiale e sociale (il 4,5%), cui si aggiunge il 9,8% di persone che, nel 2021, era precario, cioè vive in famiglie “a bassa intensità di lavoro”. Se non ci fosse stato il “reddito di cittadinanza”, e misure eccezionali come il “reddito di emergenza” o gli altri bonus “600/1.000/2.400 euro”, nei due anni della pandemia la povertà sarebbe cresciuta di più: il 6,4%, invece del 5,6%, nel rapporto fra il reddito equivalente netto totale ricevuto dal 20% della popolazione con il più alto reddito e quello ricevuto dal 20% della popolazione con il più basso reddito. Nell’Unione Europea ci sono oltre 95 milioni di persone a rischio povertà ed esclusione, ha sostenuto sempre ieri l’Eurostat. Di queste, 14 milioni sono nel nostro paese che si mantiene al di sopra della media europea, poco sotto Grecia e Spagna (26%) anche se è ancora lontana da Romania (34%) e Bulgaria (32%).

All’interno del paese la situazione è diseguale. Lo confermano i dati della Campania, Calabria e Sicilia dove si registrano valori superiori al 40%, mentre Emilia-Romagna e Valle d’Aosta sono sotto il 10%. Sembra invece diminuire chi versa in una condizione di grave deprivazione sociale e materiale a causa della ripresa dell’economia dopo la crisi pandemica e l’incremento dell’occupazione e dei redditi familiari. La povertà si sarebbe ridotta per chi vive in famiglie con cinque o più componenti (31,2% rispetto al 40,7% del 2021) e in quelle con tre o più figli (32,7% rispetto al 42,4% del 2021). Resta da capire quali saranno gli effetti del record dell’inflazione causato prima all’arresto delle catene del valore globale a causa del Covid, poi con la guerra russo-ucraina dalla speculazione sulle materie prime energetiche e alimentari, dall’aumento dei tassi di interesse decisi dalla Bce per diminuire l’inflazione. E resta anche da capire come questa situazione influirà sulle diseguaglianze. Il contesto non sembra essere univoco, almeno per quanto riguarda i dati sulla deprivazione data in diminuzione, ma conferma la persistenza della precarietà dei lavoratori poveri.

Sindacati e opposizioni hanno criticato il governo Meloni che, con il “decreto lavoro rinominerà il “reddito di cittadinanza” in “assegno di inclusione” e vincolerà gli “occupabili” a condizioni tali da perdere il sussidio “per la formazione e il lavoro”. Norme che peggioreranno la loro condizione e non influiranno su quella dei lavoratori poveri che già non ricevevano il “reddito di cittadinanza”. “Sono numeri che richiedono un’azione straordinaria e integrata - sostiene Daniela Barbaresi (Cgil) - senza operare scelte arbitrarie e categoriali o introducendo versioni moderne delle tessere “annonarie” come la “Carta per la spesa alimentare” che esclude proprio i più poveri”. “Serve una misura universale e strutturale contro la povertà, forte attenzione all’inclusione sociale e politiche dedicate al Mezzogiorno” sostiene Domenico Proietti (Uil). A inizio luglio è prevista la conversione in legge del “Decreto lavoro” che liberalizza i contratti a termine. “Sarebbe più corretto chiamarlo decreto precariato - sostiene Francesco Silvestri (M5S, sarà in piazza a Roma il 17) - Il governo sta creando le condizioni per favorire lo sfruttamento di chi ha già stipendi da fame”. Per Maria Cecilia Guerra (Pd) “il contrasto alle diseguaglianze non è nelle corde di questa maggioranza”.