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di Paola Balducci

Il Dubbio, 16 marzo 2024

Il diritto di difesa e la presunzione di non colpevolezza non possono essere pregiudicati da una richiesta o da un decreto di archiviazione per prescrizione del reato. Così la Corte Costituzionale, con la pronuncia 41/ 2024, ha tra le righe inviato un segnale molto forte a difesa dei principi e delle garanzie fondamentali dell’indagato nel procedimento penale. Nello specifico, la Consulta, ha dichiarato infondata la questione di legittimità costituzionale sollevata dal Tribunale di Lecce. Il quesito sottoposto all’attenzione del giudice delle leggi riguardava la mancata previsione dell’obbligo di comunicazione da parte del pubblico ministero nei confronti della persona offesa e dell’indagato della richiesta di archiviazione per estinzione del reato per intervenuta prescrizione, estendendo a tale ipotesi la medesima disciplina prevista per il caso di archiviazione disposta per particolare tenuità del fatto.

Il tribunale salentino si è confrontato con una vicenda riguardante una persona sottoposta a indagini, casualmente venuta a conoscenza di un provvedimento di archiviazione per prescrizione già pronunciato nei suoi confronti. Particolarità di tale provvedimento era stata tuttavia rintracciata nel contenuto dello stesso, in quanto nel testo il giudice affermava sostanzialmente la colpevolezza dell’indagato, ribadendo come le accuse sollevate contro lo stesso fossero “suffragate da molteplici elementi di riscontro, puntualmente elencati”.

Un provvedimento di archiviazione con simultanea affermazione della responsabilità dell’indagato. Tutto ciò appare quasi ossimorico: come può un’azione penale non essere promossa ma allo stesso tempo un indagato (e non un imputato) essere considerato anche indirettamente colpevole? La persona interessata, proprio alla luce di questa contraddizione, aveva proposto reclamo contro il provvedimento, manifestando anche la propria volontà di rinunciare alla prescrizione.

Davanti a questo empasse procedurale, il giudice salentino aveva deciso di rivolgersi alla Consulta, chiedendo al giudice delle leggi di introdurre un generalizzato obbligo, a carico del pubblico ministero, di avvisare preventivamente la persona sottoposta alle indagini dell’eventuale richiesta di archiviazione per prescrizione del reato nei suoi confronti, in modo tale da consentirle di rinunciare alla prescrizione e ottenere una pronuncia che riconosca la sua innocenza. La Corte Costituzionale, con la pronuncia in esame, ha ricordato come la Consulta in passato avesse riconosciuto il diritto dell’imputato a rinunciare alla prescrizione, in seguito all’esercizio dell’azione penale da parte del pubblico ministero, sottolineando come “tale diritto non necessariamente deve riconoscersi anche a chi sia soltanto sottoposto ad indagini preliminari, senza che l’ipotesi di reato a suo carico sia mai stata fatta propria dal pubblico ministero”.

D’altro lato, la Consulta ha finalmente posto l’accento sulla “specifica patologia” rappresentata da un provvedimento di archiviazione per prescrizione che presenta la persona sottoposta alle indagini come colpevole, senza averle dato alcuna possibilità di difendersi dalle accuse. Troppo spesso difatti, non potendo perseguire l’azione penale per sopravvenuta estinzione del reato, vengono emessi provvedimenti di archiviazione che si pongono quali sostituti di una sentenza di condanna, riproducendone il contenuto tipico, con “gravi pregiudizi alla reputazione dell’indagato, nonché alla sua vita privata, familiare, sociale e professionale. Ciò che, in ipotesi potrebbe dare altresì luogo a responsabilità civile e disciplinare dello stesso magistrato che ha richiesto o emesso il provvedimento”. Lungi dall’essere provvedimenti “neutri”, molto spesso le richieste e i decreti di archiviazione si spingono ben oltre la mera valutazione sulla fondatezza della notitia criminis, indicando elementi che nulla o poco hanno a che vedere con la scelta di non esercitare l’azione penale, con conseguenze stigmatizzanti e segnanti anche dal punto di vista mediatico, in quanto troppe volte ripresi e travisati dai mezzi di comunicazione.

L’importanza di questa decisone della Consulta si radica nella volontà di porre un freno ad un diritto penale troppo spesso in balia dell’opinione pubblica, con conseguenti processi mediatici che scaturiscono dalla mera notizia dell’apertura di procedimenti penali, celebrati all’interno di una società che punta il dito contro l’indagato ancor prima di avergli dato la possibilità di difendersi nelle sedi opportune. E il giudice delle leggi ha anche mosso un importante passo verso la responsabilizzazione dei magistrati, chiamati a tutelare l’indagato sin dall’inizio del procedimento penale nei propri confronti, al fine di recuperare quello spazio per il diritto di difesa che la nostra Costituzione ha sancito come principio inalienabile del processo penale.