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di Piero Sansonetti

L’Unità, 2 marzo 2024

Armando Veneto è un signore di 88 anni, un grande avvocato, una persona che con notevole autorevolezza si occupa di politica, un uomo molto colto, gentile, elegante. Lo ho conosciuto negli anni nei quali ho lavorato in Calabria. E ho potuto stimarlo, come lo stimava chiunque lo conoscesse. Quattro anni fa l’avvocato Veneto ha subito una ferita che difficilmente si può rimarginare. La Procura di Catanzaro lo ha accusato di concorso in associazione mafiosa e di aver corrotto un giudice. Il tribunale gli ha rifilato 9 anni di prigione. Chi lo frequenta e gli vuole bene mi dice che lui è stato distrutto da quel processo. La sua vecchiaia sbriciolata. Ieri finalmente la Corte d’appello lo ha assolto. Gli avvocati Maiello e Migliucci, che lo difendono, hanno assai sobriamente dichiarato. “È stata ristabilita la verità”. Con quale motivazione è stato assolto Armando Veneto? È stato assolto perché non ha commesso il fatto.

Cioè? Semplice dirlo in italiano: l’accusa era una clamorosa balla, una calunnia gravissima. La calunnia, nel codice penale, è un reato molto grave. Ricopio qui l’articolo 368 che è chiarissimo: “Chiunque, con denunzia querela… o istanza diretta all’Autorità giudiziaria… incolpa di un reato taluno che egli sa innocente è punito con la reclusione da due a sei anni… La pena è aumentata se si incolpa taluno di un reato pel quale la legge stabilisce la pena della reclusione superiore nel massimo a dieci anni, o un’altra pena più grave…La reclusione è da quattro a dodici anni, se dal fatto deriva una condanna alla reclusione superiore a cinque anni…”

Vuol dire che, per esempio, se fossi stato io ad accusare l’avvocato Veneto di essere un amico dei mafiosi, ora finirei sotto processo rischiando 12 anni di prigione. Dovrei dimostrare che io non sapevo che lui fosse innocente. Cioè dovrei dimostrare che la calunnia contro l’avvocato non era dovuta a malafede ma a semplice incompetenza… Già, incompetenza. Perché tutto è nato, come spesso succede, dal superficiale ascolto di un’intercettazione che ha prodotto la confusione di un nome con un altro. Nessuno aveva pronunciato la parola “Veneto”. Capita abbastanza frequentemente. Specialmente in Calabria. Le intercettazioni sono il più pericoloso strumento di indagine che mai sia stato inventato. Nessuno mai saprà con precisione quante ingiustizie creano e quanti innocenti triturano.

E in Calabria capita anche un’altra cosa. Che la procura abbia pochissima simpatia per gli avvocati. Una volta un procuratore sostenne che “tra alcuni avvocati e alcuni clienti l’ampiezza della scrivania si è ridotta. Permettere questo, soprattutto in ambito penale, è molto pericoloso.” Cioè, il Procuratore riteneva che gli avvocati fossero troppo appassionati alle ragioni degli imputati, e che questo mettesse a rischio le condanne, creasse una strada alle assoluzioni, e dunque danneggiasse la giustizia. Temo che il processo all’avvocato Veneto sia stato costruito un po’ per questa ragione. Per impartire una lezione all’avvocatura calabrese. Posso dire: per intimidire? Temo che se poi lo dico salta su qualche magistrato che come al solito mi querela. E allora solo un grande abbraccio a Veneto. E ai pochi che l’hanno sostenuto.