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di Bruno Ferraro*

Libero, 11 ottobre 2023

Le problematiche legate all’esecuzione penale e, in particolare, alla natura delle pene e del giusto trattamento punitivo dei soggetti che violano la legge commettendo reati, sono al centro del dibattito pubblico. Si scontrano in questo campo esigenze contrastanti che rendono difficile l’individuazione del punto di equilibrio, tra chi giustamente richiede la comminazione di pene adeguate rivendicandone efficacia ed eseguibilità e chi invece si appella all’art. 27 della Costituzione che contempla l’esigenza della rieducazione e dell’emenda del reo come finalità ultima del sistema.

La riforma varata dal Governo Draghi e dalla Ministra Cartabia ha introdotto misure che hanno come obiettivo primario l’alleggerimento del numero dei detenuti in carcere: obiettivo sicuramente giusto ma che spesso, nei singoli casi, induce forti perplessità a livello di opinione pubblica e sconcerto nelle vittime delle azioni criminose o nei loro familiari. L’obbligo del giudice di tener conto della particolare tenuità del fatto, come pure di sospendere l’esecuzione delle pene mettendo alla prova il condannato, estendono ai condannati adulti misure che furono pensate per i minori degli anni diciotto: estensione condivisibile solo se non si incorre in abusi di tale trattamento (una sorta di perdono giudiziale applicato in passato ai soli minorenni) e se si è in grado di valutare con il giusto rigore l’esito della messa alla prova (cosiddetta probation).

Lo stesso può dirsi, più o meno, per l’irrogazione di pene sostitutive in luogo delle pene detentive brevi, che richiedono un metro non lassista di valutazione giudi7iale per evitare che si trasformino in una sorta di amnistia o di indulto applicati dal giudice in assenza di una normativa autorizzatoria. Merita sicuramente adesione la scelta della cosiddetta giustizia riparatoria, basata sul presupposto che chi ha, con il reato, procurato un danno ad un soggetto deve attivarsi al massimo delle sue possibilità per ridurre od eliminare le conseguenze dannose del proprio comportamento.

Non più, si spera, in futuro il “regalo” delle attenuanti generiche e della sospensione condizionale a soggetti che non si dimostrano meritevoli di tale concessione. Il legislatore ha operato anche una revisione del trattamento per una cospicua serie di fattispecie criminose. Mi limito a ricordarle senza scendere nel dettaglio per carenza di spazio: lesioni personali, lesioni stradali, sequestro di persona, violenza privata, minacce, violazione di domicilio, furto, invasione di terreni o di edifici, danneggiamento, molestie e disturbo.

Si tratta di comportamenti di importanza basilare per il corretto vivere della società civile e l’intento che ha mosso la riforma è perfettamente comprensibile. La conclusione? Intervenire si doveva, il come è ovviamente discutibile, la ricetta non è semplice, le esigenze da tenere presenti sono varie e spesso contrastanti. Non è comunque un problema di quantità della pena ma di serietà ed effettività del sistema punitivo nei singoli casi.

*Presidente Aggiunto Onorario Corte di Cassazione