di Mariastella Gelmini*
Avvenire, 5 settembre 2024
Esistono valide ragioni per ritenere che la disastrosa situazione delle carceri italiane continuerà a essere di stretta attualità ancora per molto. Purtroppo. Ciò dipende in primo luogo da alcuni dati oggettivi, a cominciare dal sovraffollamento (parliamo di 10mila persone in più) e dalla drammatica crescita di suicidi e atti di autolesionismo. In Gran Bretagna è stato sufficiente che il tasso di occupazione delle carceri superasse il 90 per cento (in Italia, come è noto, siamo al 130%) perché governi sia di destra che di sinistra sentissero il dovere di intervenire con misure di immediato impatto. Il decreto varato dal ministro Nordio lo scorso luglio, convertito in legge senza un reale confronto parlamentare, contiene sicuramente misure positive, come l’aumento del numero di agenti di polizia penitenziaria, l’incremento delle telefonate consentite ai detenuti e alcuni snellimenti burocratici, tuttavia si rivelerà presto insufficiente ad attenuare la pressione del sovraffollamento e le connesse tensioni.
È evidente che - a meno di non voler incorrere nuovamente in una sanzione della Cedu come nel caso Torregiani - l’Italia dovrà immaginare ulteriori interventi, così come ammesso implicitamente anche dallo stesso ministro della Giustizia. L’auspicio è che almeno sui prossimi provvedimenti si possa discuterne senza schieramenti preconcetti e con la necessaria umanità: laddove quest’ultima qualità difettasse, si potrebbe ricorrere al realismo e al senso pratico. Anche perché su questi temi nessuno ha le carte in regola per dare lezioni.
Dunque, stop alle polemiche e concentriamoci sulle soluzioni. Anche chi propugna la certezza della pena e disconosce il significato dell’espressione “pene alternative”: potrebbe riflettere su alcune questioni. Il carcere non è solo il luogo in cui i rei scontano il proprio debito conia società, perché circa un terzo dei detenuti è ancora in attesa di giudizio. Sarebbe una ragione in più per assicurare a tutte le persone prese in custodia dallo Stato condizioni civili di detenzione. La seconda: il perdurante sovraffollamento, accoppiato alle carenze di organico dei magistrati di sorveglianza e alle lungaggini burocratiche, rallenta i nuovi ingressi nelle carceri.
Quante sono le persone in attesa di espiare la pena sulla base di una sentenza passata in giudicato? Uscire da una logica emergenziale consentirebbe inoltre di affrontare altri problemi che dovrebbero essere al centro dell’attenzione del decisore politico, come ad esempio il reinserimento lavorativo degli ex detenuti. Perché dal carcere prima o poi si esce ed è interesse primario della società evitare che le galere siano un incubatore di rabbia e delinquenza e impedire ricadute nel crimine. Ciò, oltre a corrispondere al dettato costituzionale, sarebbe pragmaticamente una misura “securitaria”: abbattere la recidiva significa infatti meno reati e meno vittime.
E non c’è niente più del lavoro che abbia fin qui dimostrato la concreta capacità di incidere sui tassi di recidiva. Non è un caso se in Inghilterra a ricoprire il ruolo di Ministro per le carceri è stato chiamato un imprenditore illuminato che impiega nella sua catena di negozi (calzolerie, tintorie, ecc..) circa seicento detenuti del Regno. L’Italia, da questo punto di vista, non è all’anno zero, ma tutte le problematiche fin qui enunciate impediscono il pieno sviluppo delle potenzialità che pure esistono. Non è questo un impegno che può essere lasciato solo all’esecutivo: il lavoro non si crea per decreto, figuriamoci il lavoro per i detenuti.
È necessario che la società civile, le imprese, le associazioni facciano la loro parte e in molte realtà ciò sta già accadendo. Bisogna fare squadra e mettere tutti i soggetti coinvolti attorno a un tavolo è esattamente quello che sto provando a fare, ormai da mesi, con Eleonora Di Benedetto e la Fondazione Severino, con Caterina Micolano ed Ethicarei.
Stiamo portando avanti un ciclo di incontri proprio con questo obiettivo e in calendario ci sono già i prossimi appuntamenti di settembre e novembre. Il luogo che ci ospita è il Senato, perché siamo convinti che la questione carceri debba tornare al centro dell’agenda politica e che il Parlamento debba essere protagonista di questa battaglia di civiltà. Serve l’impegno di tutte le forze politiche, maggioranza e opposizioni, per andare oltre le ideologie e le contrapposizioni. Occorre più coraggio per fare davvero quel che serve.
*Senatrice e portavoce di Azione