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di Daniele Zaccaria

Il Dubbio, 6 settembre 2022

Oltreoceano la chiamano 60-day rule, “regola dei sessanta giorni”; non è una legge scritta ma una consuetudine che invita i magistrati americani a sospendere indagini e procedimenti penali nei confronti di personalità politiche negli ultimi due mesi di campagna elettorale. Una specie di “bimestre bianco” per evitare che i tribunali influenzino le scelte degli elettori in modo improprio e per tenere in equilibrio la separazione dei poteri nel passaggio più delicato della vita democratica.

Così, a nove settimane dal voto di mid term, il Dipartimento di giustizia, in ossequio al principio del 60- day rule, sta valutando se congelare le inchieste che riguardano l’ex presidente Donald Trump: tecnicamente il tycoon non è candidato per un seggio al Congresso ma è da anni il leader incontrastato del partito repubblicano nonché la principale figura di opposizione all’amministrazione democratica guidata da Joe Biden. E salvo colpi di scena, sarà lui il candidato del Gop alle presidenziali del 2024.

L’intero dossier è ora nelle mani del procuratore generale Merrick B. Garland : il suo dipartimento sta infatti conducendo due indagini separate che coinvolgono l’ex inquilino della Casa Bianca.

La prima per accertare il suo ruolo nell’assalto al Capitol Hill di Washington del 6 gennaio 2021 che costò la vita a sei persone. La seconda, più recente, lo vede accusato di aver sottratto documenti governativi top secret e di averli nascosti nella sua villa di Mar a Lago in Florida. Il mese scorso gli agenti del Fbi sono piombati nella residenza sequestrando decine di chili di faldoni e scatenando la rabbiosa reazione di Trump che ancora ieri attaccava a testa bassa il Bureau “mostro feroce controllato dai democratici e dai media progressisti”. Cosa fare, dunque?

Come spiega al New York Times il giurista Jack Goldsmith, insegnante all’università di Harvard e consulente del Dipartimento di giustizia il caso pone non pochi dilemmi: “Quella dei 60 giorni è una norma implicita ma di portata incerta, quindi non è affatto chiaro se si applichi all’adozione di misure investigative contro un ex presidente non candidato ma che è comunque intimamente coinvolto nelle elezioni di novembre, come non è chiaro se riguardi le inchieste in sé o soltanto la loro divulgazione pubblica”.

Il dipartimento ha in tal senso un manuale per stabilire le tempistiche dei provvedimenti giudiziari in modo da non alterare i risultati elettorali danneggiando questo o quel candidato o partito ma si tratta di linee guida non di obblighi istituzionali. Le stesse che Garland ha ereditato dal precedente procuratore generale William P. Barr che suggeriscono ai tribunali di congelare le inchieste. Non è però precisato se Poi, però, esiste anche la volontà politica e gli interessi di parte che a volte scavalcano i principi. Come fu nel caso di Hillary Clinton che nel 2016, a due settimane dal voto, è stata messa sotto accusa dall’ex direttore del Fbi James B. Comey che riferì al Congresso i dettagli dell’emailgate (per la cronaca, Clinton poi venne prosciolta). Secondo i principali osservatori della politica statunitense sarà comunque improbabile che Trump riceva un’incriminazione ufficiale prima delle elezioni di novembre. Questione di opportunità per non incendiare il clima già arroventato dalle bellicose dichiarazioni del tycoon. Ma potrebbe venire colpito in modo “laterale” specialmente per l’inchiesta sui documenti riservati che avrebbe trafugato dagli archivi della Casa Bianca. Nell’obiettivo dei magistrati ci sono infatti anche due avvocati di Trump accusati di aver rilasciato dichiarazioni false e di ostruzione alla giustizia. staremo a vedere.