sito

storico

Archivio storico

                   5permille

   

di Edmondo Bruti Liberati

Corriere della Sera, 15 luglio 2023

Si può attivare un giudizio anche per fatti che non abbiano rilevanza penale. L’opinione pubblica, l’informazione, liberamente valuterà se condividere o meno. “Arimortis, spesso abbreviata in arimo è un’espressione utilizzata prevalentemente in Lombardia; è convenzionalmente in uso tra i bambini durante i loro giochi, allo scopo di invocare una sospensione del gioco e/o attività in corso per piccoli “incidenti” quali stringa slacciata, richiamo materno per merenda et similia.

È l’equivalente del time-out negli sport agonistici”. Così Wikipedia. Un milanese di adozione osa proporre dalle colonne del “quotidiano di Via Solferino”, di fronte alle polemiche di questi giorni su politica e giustizia: arimortis! Non vuol dire negare i problemi, né salomonicamente dire che tutti hanno un po’ di torto e un po’ di ragione, ma solo: un attimo di pausa per riflettere sui fondamentali.

Cominciamo con un auspicio: si rinunci all’uso dell’espressione “indagini ad orologeria”. Si dice che un orologio fermo (analogico, oggi dobbiamo aggiungere) almeno due volte al giorno segna l’ora esatta, ma un orologio le cui lancette impazzite girino vorticosamente non segnerà mai l’ora esatta. Per polemizzare contro una indagine della magistratura, abbiamo visto di tutto. Indagini avviate nell’imminenza di una delle tante scadenze elettorali (nazionali, regionali, comunali del nostro paese, nonché europee) sono accusate di voler influire sulle urne. Indagini post-elezioni sono accusate di non voler rispettare il risultato delle urne (sulla base di un sondaggio tra gli elettori dei partiti di governo invitati ad esprimere la loro opinione su quella singola indagine?). Forse, come sentivamo nelle cronache di Ruggero Orlando da Cape Canaveral bisognerebbe stabilire (con legge annuale?) una “finestra” per il “lancio” di indagini in un tempo ben distante sia dalla precedente che dalla successiva scadenza elettorale, peraltro con un necessario computo calibrato che assegni punteggi di valore diversi a seconda del tipo di elezioni e del bacino elettorale.

Indagini penali e responsabilità politica. La politica si riappropri del suo ruolo, faccia un passo avanti e valuti comportamenti attribuiti a suoi esponenti secondo il metro dell’etica pubblica, indipendentemente e a prescindere dai profili penali. La politica decida dove fissare l’asticella dell’etica pubblica: può attivare un giudizio di responsabilità politica anche per fatti che non abbiano rilevanza penale o all’opposto può non attivare questo giudizio di fronte a fatti penalmente rilevanti, ma ritenuti di non particolare gravità. L’opinione pubblica, l’informazione liberamente valuterà se condividere o meno. Due passati governi tecnici hanno alzato e di non poco l’asticella del livello di etica pubblica. Il ricordo va a due ministre che in diversi governi si sono dimesse per casi di non particolare gravità.

Nella vicenda che coinvolge una attuale ministra la confusione è totale. Laddove la politica, il governo, dovrebbe assumere la responsabilità “politica”, una valutazione autonoma sui fatti, il dibattito si svolge come in una esercitazione degli studenti di un corso di procedura penale sul “certificato dei carichi pendenti” e sulla informazione di garanzia. Una situazione surreale, ma almeno ricordiamo i fondamentali. La persona interessata può in qualunque momento richiedere alla Procura della Repubblica se esistano iscrizioni, indagini a suo carico (art. 335 cpp). La segreteria della Procura rilascia un certificato che prevede due alternative: “Risultano le seguenti iscrizioni suscettibili di comunicazione” ovvero “Non risultano iscrizioni suscettibili di comunicazione”. La seconda risposta tiene conto del fatto che, in particolari circostanze, la Procura può disporre la “segretazione” dell’iscrizione e quindi questa risposta, come ben sanno gli avvocati difensori, vuol dire che non ci sono iscrizioni o che ci sono iscrizioni “segretate”. La “scadenza” di questo certificato è ancora più breve di quella del latte fresco, perché è fissata, come per Cenerentola, alla mezzanotte. Lo stesso certificato, richiesto il giorno dopo avrebbe potuto portare l’altro risultato.

L’”informazione di garanzia” (art.369 cpp) deve essere notificata all’indagato solo quando il pubblico ministero deve compiere un atto al quale il difensore ha diritto di assistere. A questo punto non vi è più segreto: piuttosto che inseguire un segreto che non vi è più e che non vi deve più essere, non sarebbe meglio adoperarsi per valorizzare il significato di “garanzia” e la correlativa presunzione di innocenza? Fermo restando il diritto/dovere dei media di pubblicare una notizia di evidente interesse generale ove l’indagato sia un personaggio pubblico.

Non meno surreale la caccia alla fuga di notizie. Che la ministra Santanché fosse indagata per falso in bilancio lo ha scritto il Corriere il 2 e 3 novembre 2022, concetto ben evidenziato nel titolo: nessuna fuga di notizie, ma solo un attento e preparato cronista, che ha saputo interpretare notizie ed atti non segreti facendo semplicemente 2+2. I non pochi lettori del Corriere (tra i quali è da supporre anche qualche esponente politico), che non hanno visto alcuna smentita, sapevano già da tempo quello che ora è sembrato nebuloso nel dibattito parlamentare. Falso in bilancio, bancarotta, reati societari richiedono indagini sofisticate e non brevi: a maggior ragione “presunzione di innocenza” perché, per i vari meccanismi tesi a circoscrivere le dichiarazioni di fallimento quando è possibile “salvare” le aziende, il pubblico ministero potrebbe concludere con una richiesta archiviazione. Sempreché non intervenga poi un GIP ad ordinare una imputazione coatta…

Anche qui richiamo ai fondamentali. La possibilità per il Pm di archiviare fuori di ogni controllo del giudice, prevista dal codice Rocco è stata oggetto di uno dei primi interventi della ristabilita democrazia: nel settembre del 1944, in piena guerra e quando gran parte del Paese è ancora controllata dal nazifascismo, il governo Bonomi ripristina il controllo del giudice. E persino nel sistema statunitense ove il prosecutor statale, eletto dai cittadini, gode di un’illimitata discrezionalità nell’archiviare notizie di reato, una volta formulata l’imputazione, se vuole chiudere il caso con il nolle prosequi, deve richiedere l’autorizzazione al giudice.