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di Paolo Corvini

Il Domani, 21 maggio 2022

La riforma della giustizia andrebbe osservata al di fuori dalla portata dei riflettori che, mettendo in luce questioni singolarmente prive di significato, ne affievoliscono la sistematica comprensione. C’è chi mette in risalto la maggiore o minore portata dei provvedimenti, chi addirittura la vive come una vittoria del potere legislativo su quello giudiziario (sic!).

Dati alla mano, sarebbe più utile mettere a sistema la percentuale di adesione dei magistrati allo sciopero (dato di per sé privo di capacità esplicativa) con i sondaggi operati con il contributo di chi, di fronte all’esperienza diretta con il sistema giudiziario, si dichiara per l’85 per cento insoddisfatto. Trilussa, che della statistica comprendeva le varie contraddizioni, desumerebbe (e questo è il ruolo della statistica inferenziale) che la giustizia tenderebbe a scontentare molti a favore di pochi. Lungi dal voler credere che questo ultimo risultato possa dipendere dal lavoro della magistratura ordinaria - la cui produttività si attesta su livelli sopra la media europea, e all’interno della quale, anche dal punto di vista qualitativo, si raggiungono punte di eccellenza qualitativa forse mai raggiunte prima - probabilmente, anche all’interno della magistratura, si consuma una grande sofferenza da parte di chi vede che le riforme sembrerebbero mirare a est per sparare a ovest. Infatti, il clima di muro contro muro dovrebbe porre sospetto e non soddisfazione e ciò prescindendo dalla portata delle modifiche operate sul campo.

Mentre assistiamo, in nome del “garantismo”, a processi penali che durano in primo grado anche otto anni, attraverso l’introduzione della improcedibilità, per reati di natura “prevalentemente” economica, sembrerebbe prevalere la volontà di sterilizzare dai precetti penali la gestione dell’economia nel suo complesso.

Sterilizzando le vicende economiche dalla legge penale si rischia di aprire un secolo dove qualsiasi illegittimo comportamento economico possa essere ricondotto esclusivamente alla configurazione del danno patrimoniale. In questo modo, senza porre peraltro rimedio ai problemi di efficacia (e non di efficienza) del sistema giudiziario nel suo complesso, mentre con una mano leveremmo al sistema giudiziario gli strumenti di contrasto, con l’altra potremmo spalancare la porta alla cultura della prepotenza. L’idea di giustizia mal si concilierebbe con l’ossimoro della diseguaglianza. Questa è una eventualità certamente da scongiurare.