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di Claudio Castelli*

Il Messaggero, 24 maggio 2023

Da qualche settimana dichiarazioni e interviste dei vertici del ministero della Giustizia presentano come imminente la riforma, penale più volte annunciata dal guardasigilli Carlo Nordio. Rispondendo ad una interrogazione parlamentare, il vice ministro della giustizia Paolo Sisto ha parlato di “iniziative normative atte a garantire il principio di non colpevolezza di cui all’articolo 27 della Costituzione, rafforzando il controllo giurisdizionale” e anche il consigliere giuridico del ministro, Bartolomeo Romano, ha anticipato che il rafforzamento del controllo sulle misure cautelari avverrà con la previsione di un interrogatorio di garanzia che precede l’adozione della misura cautelare, ma soprattutto le misure cautelari non siano più adottate dal Gip, ma dal tribunale del riesame, in modo che la richiesta del pubblico ministero venga presa da un giudice collegiale. La proposta appare ancora indefinita e richiede un approfondimento per verificare la sua fattibilità che vada oltre le nobili ragioni di garanzia che sono state spese.

Tra l’altro il fatto che il provvedimento sia ancora allo studio incoraggia ad esprimere osservazioni e critiche che potrebbero essere utili al legislatore. Da quanto si è potuto sinora cogliere la proposta sarebbe di affidare l’emissione di misure cautelari personali (non si capisce se tutte o solo quelle relative a custodia in carcere e arresti domiciliari) ad un organo collegiale, facendo diventare l’attuale tribunale del riesame organo non più di impugnazione, ma direttamente di emissione della misura, con l’eventuale ricorso contro il provvedimento che passerebbe alla corte di appello.

L’interrogatorio dell’indagato avverrebbe prima dell’emissione della misura con l’eventuale applicazione della misura richiesta o meno afflittiva solo all’esito dell’interrogatorio. Questo inevitabilmente comporterebbe un invito a comparire per rendere interrogatorio, o più spesso un accompagnamento coattivo dello stesso (onde impedirne la fuga), davanti al tribunale completo di imputazione e di elementi a carico onde consentire una difesa sostanziale.

In concreto a fronte della richiesta della Procura e di una delibazione confermativa del Tribunale collegiale, l’indagato comparirebbe davanti al collegio ove verrebbe sottoposto ad interrogatorio di garanzia, all’esito del quale la richiesta di misura verrebbe accolta, modificata o respinta. La fattibilità Tralasciando altri aspetti e limitandosi ad una valutazione di fattibilità va subito osservato come sia del tutto impossibile che questa attività venga svolta dai tribunali dei diversi circondari, trattandosi in larga parte di piccoli o medi tribunali, che non hanno un numero di magistrati sufficienti a impegnare un numero così significativo di magistrati in questa attività pur fondamentale, che determina ulteriori inevitabili massicce incompatibilità.

E difatti sembra che la proposta parli di affidare questi compiti a quello che attualmente è il tribunale del riesame distrettuale. Ciò ha comunque risvolti ordinamentali e pratici, di cui è bene essere consapevoli. Vuol dire anzitutto proseguire nella politica in corso da tempo di prosciugare le materie trattate dai Tribunali circondariali, che vengono ad avere sempre meno competenze e meno specializzazione, a vantaggio di Tribunali distrettuali sempre più oberati, specializzati e importanti, con la negativa creazione sempre più di tribunali di serie A e di serie B. In secondo luogo vi sono indubbi problemi pratici. La persona “fermata” a Sondrio dovrà essere invitata a comparire o coattivamente accompagnata a Milano con una progressiva centralizzazione e trasferimenti sia per gli agenti di polizia giudiziaria che per i difensori.

Non solo, ma inevitabilmente i provvedimenti con cui il tribunale del riesame disporrà l’interrogatorio si ridurranno inevitabilmente ad una delibazione della richiesta della procura, limitandosi a imputazione, elementi di prova e valutazione di fondatezza e non ad una compiuta ed esauriente motivazione (oggi si arriva a centinaia di pagine), sia perché si tratta di un provvedimento interlocutorio, sia per dare spazio alle ragioni della difesa, mentre il vero provvedimento verrà effettuato all’esito del, contraddittorio. Ciò indubbiamente restringe gli spazi della difesa sia per la sommarietà della contestazione, sia per i tempi contratti.

E ciò va contro le garanzie dell’indagato quantomeno in tutti i casi in cui bisognerà procedere all’accompagnamento: immaginiamo la persona portata davanti al tribunale e invitata a rendere interrogatorio senza alcun preavviso e senza potersi predisporre alcuna difesa. Un cenno particolare va poi riservato all’appello, in quanto la proposta nei fatti sposta il riesame presso corti di appello già enormemente oberate che dovrebbero distaccare diverse unità (a volte decine) a svolgere tale attività. Proposta oggi del tutto irrealistica e che porterebbe le Corti ad un totale dissesto.

Il rischio, tra l’altro, è che l’introduzione di un sistema così macchinoso e costoso induca ad ampliare il ricorso al fermo di indiziato di delitto da parte della polizia giudiziaria e del pubblico ministero. Al di là delle intenzioni e delle apparenze il pericolo concretissimo è quello di un’eterogenesi dei fini, diminuendo anziché potenziando le garanzie della persona soggetta alle indagini Infine il meccanismo pensato è del tutto inattuabile per le richieste di misure cumulative. Certo si potrebbe limitare ai processi che non riguardano la criminalità organizzata, ma non risolverebbe tutti i casi (non pochi) di reati associativi che non rientrano nelle ipotesi della criminalità organizzata. Ed inoltre accentuerebbe ancor di più il doppio binario con trattamenti del tutto differenziati tra processi “ordinari” e di criminalità organizzata.

Due considerazioni si impongono comunque: l’Italia con il Pnrr si è preso un impegno ambiziosissimo di riduzione di tempi e pendenze da far tremare i polsi e i riscontri che emergono dai dati ministeriali sul settore penale non sono per ora soddisfacenti. Sarà possibile raggiungerli solo con determinazione e impegno e mantenendo per un congruo lasso di tempo una stabilità normativa e organizzativa.

Un’altra rivoluzione dopo l’enorme sforzò posto in atto ed in corso per l’attuazione dei decreti legislativi Cartabia vuol dire semplicemente abbandonare gli obiettivi del Pnrr. Ogni politica legislativa, che ovviamente spetta al parlamento, deve comunque fare i conti con l’impatto complessivo che avrebbe sul sistema giudiziario e con l’impegno di risorse che implica. Continuare a far finta di avere risorse infinite e far ricadere su altri l’esito di riforme poco ponderate porta solo a proporre riforme finte o con fortissime controindicazioni. Si tratta di un metodo di legiferare ormai consolidato, ma non per questo meno pericoloso e da abbandonare al più presto.

*Presidente della corte d’appello di Brescia