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di Paolo Pandolfini

Il Riformista, 7 settembre 2023

Nelle prime audizioni nessuno dei rappresentanti di Anac, Ann, Anci e Camere Penali, ha espresso apertamente il proprio plauso per il testo normativo. Partenza in salita, come era abbondantemente prevedibile, per la riforma penale voluta dal Guardasigilli Carlo Nordio. Ieri si sono svolte in Commissione giustizia al Senato, dove è incardinata la discussione del ddl, le prime audizioni degli esperti chiamati dalla presidente Giulia Bongiorno (Lega), relatrice del testo, a fornire un loro contributo di pensiero sul punto. Ad essere auditi, il presidente dell’Anac Giuseppe Busìa, il presidente dell’Anm Giuseppe Santalucia, il presidente dell’Anci Antonio Decaro e il segretario nazionale delle Camere penali Eriberto Rosso. Se nessuno dei quattro ha espresso apertamente il proprio plauso per la riforma voluta da Nordio, i primi due - Busìa e Santalucia - sono stati addirittura critici, stroncando la maggior parte delle modifiche proposte.

Durissimo, in particolare, Santalucia che ha parlato di “norme poco chiare che creano incertezza, destinate a non reggere sul piano pratico e a rischio di incostituzionalità”. Sull’abuso d’ufficio, ad esempio, “si va ad abrogare una norma con carattere residuale che ha una clausola d’esordio, salvo che il fatto non costituisca più grave reato”. “Se si elimina una fattispecie residuale” si espandono “necessariamente a livello di investigazione d’indagine”, fattispecie più gravi, ha fatto notare Santalucia. “L’abolizione della norma incriminatrice non serve per ridurre le condanne, che sono state già fortemente ridotte dal decreto Semplificazioni del 2020 e non gioverà a ridurre le indagini”, ha quindi spiegato il presidente dell’Anm, ricordando i vincoli internazionali, a partire dalla Convenzione di Merida, che obbliga gli Stati, che come l’Italia l’hanno sottoscritta, a “criminalizzare” quella condotta.

“Il legislatore precedente aveva previsto che le intercettazioni vadano al pm perché le conservi in archivio. Per toglierle dall’archivio che è segreto bisogna acquisirle nel contraddittorio con le parti, secondo il criterio della rilevanza” e poi “possono essere utilizzate in dibattimento con la trascrizione peritale”.

Allora “l’intercettazione trascritta nella perizia perché non dovrebbe potere essere pubblicata? Se sono già utilizzate in un provvedimento e il provvedimento è pubblicabile di per sé che senso ha dire che sono pubblicabili le intercettazioni solo se già utilizzate? - ha domandato poi Santalucia a proposito dei paletti voluti da Nordio alla pubblicazione degli ascolti, aggiungendo che “si altera un equilibrio già raggiunto tra diritto alla riservatezza nel processo e all’informazione che è quello della rilevanza”. Problemi, infine, anche per l’introduzione del giudice collegiale sulle misure cautelari: “La collegialità non regge sul piano organizzativo.

I 250 magistrati in più da qui a 2 anni non saranno in carne e ossa negli uffici e non basteranno”. “Se le finalità che hanno portato ad intervenire sull’abuso d’ufficio sono condivisibili, la cancellazione di questo reato crea problemi: se lo abrogassimo tout court avremmo diversi vuoti normativi e un’inadempienza rispetto a vincoli internazionali”. È stato, invece, il commento più ‘felpato’ di Busìa. Secondo il capo dell’Anac, “sono giuste le finalità volte a tipizzare il reato. Con l’intervento del 2020 si è cercato di contenere e precisare la fattispecie di reato, ma per quanto il testo sia puntuale, diverse indagini sono state avviate riferendosi a violazioni di principi generali quali il buon andamento della Pubblica Amministrazione, stabilito dall’articolo 97 della Costituzione.

Questo allarga eccessivamente la fattispecie e giustifica la necessità di un ulteriore intervento normativo. Tuttavia è sbagliato abrogare come tale il reato”. Il motivo? “Si creerebbero vuoti in fattispecie e in casi di violazione di legge e favoritismi in cui non vi è scambio di denaro, che non possiamo lasciare scoperti”. “Per esempio - ha osservato - l’affidamento diretto invece di fare le gare, assegnando un lucroso contratto ad un amico, andando oltre le soglie del Codice; o favoritismi nei concorsi pubblici, quando un commissario di gara fa vincere il concorso alla sua amante; o condotte prevaricatrici nella Pubblica Amministrazione, come il demansionamento di dipendenti, o il mancato rinnovo di incarichi per fini ritorsivi; abusi in sanità di operatori sanitari che dirottano verso cliniche private, come il medico che non rispetta le norme relative all’intramoenia e favorisce la sanità privata; l’obbligo di astensione in caso di conflitto di interessi”.

“Le modifiche sull’abuso d’ufficio non hanno portato ai risultati sperati, ci sono ancora tantissimi casi di inchieste giudiziarie che non portano a nulla”, ha ricordato Decaro, come tutti i sindaci da sempre favorevole ad un cambio di passo al riguardo. È “senz’altro positivo”, infine, il giudizio dei penalisti sulla abrogazione dell’abuso d’ufficio, una norma che “non ha mai svolto un vero e proprio ruolo di presidio di legalità”, ma si è risolta “in uno strumento di invasivo controllo da parte delle procure nell’attività amministrativa”. “È noto come la semplice contestazione abbia spesso determinato la paralisi dell’attività della Pubblica amministrazione e alterato gli equilibri della vita democratica in occasione di competizioni elettorali”, ha osservato Rosso che ha definito “infondate” le critiche di chi sostiene che così verrà meno un “reato spia” di condotte ben più gravi.

Della riforma l’Ucpi, invece, non ha apprezzato l’intervento sulle intercettazioni, ritenuto “assai deludente”. Non solo mancano “adeguati presidi sanzionatori” per chi viola i divieti di pubblicazione, “ma ciò che è più grave, nella prospettiva delle garanzie, è che non si è ritenuto di mettere mano alla disciplina delle intercettazioni, secondo una chiara visione del bilanciamento dei contrastanti interessi, di rilevanza costituzionale, in gioco”. Stamani si prosegue con il Garante per la protezione dei dati personali Pasquale Stanzione e con il presidente del Consiglio nazionale forense Francesco Greco.