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di Cristina Da Rold

lescienze.it, 12 maggio 2023

Gli autori di un reato commesso in uno stato di incapacità mentale sono indirizzati a un percorso di cura e riabilitazione in strutture gestite dal Servizio sanitario nazionale. Per le persone che invece sviluppano un disturbo mentale durante la detenzione in carcere, dove la probabilità che insorga una malattia mentale è elevata, il percorso terapeutico è molto diverso.

Da un processo in cui si è risultati colpevoli si può uscire in due modi: condannati o prosciolti. Il modo per essere prosciolti è essere ritenuti affetti da un “vizio di mente”, ossia incapaci di aver commesso il reato nel pieno delle proprie facoltà mentali. La differenza è cruciale: se sussiste il vizio di mente, il percorso che ci si para davanti sarà fuori dal carcere ma all’interno di percorsi e strutture del Servizio sanitario nazionale e, nei casi che richiedono maggiore attenzione alla sicurezza, presso strutture riabilitative dette REMS (Residenza per l’esecuzione delle misure di sicurezza). Nel 2014 le REMS hanno sostituito fisicamente i vecchi ospedali psichiatrici giudiziari rivoluzionando il concetto di riabilitazione del colpevole. Si tratta infatti di residenze con al massimo 20 posti letto inserite nei Dipartimenti di salute mentale del territorio, strutturate come piccole comunità, dove non vi sono guardie, né grate, né porte chiuse, né celle, ma solo personale sanitario.

Se invece veniamo condannati perché “sani” quando abbiamo compiuto il crimine, finiamo in carcere, dove però la probabilità che insorga una malattia mentale durante la detenzione è elevata. Una volta che i disturbi si manifestano, la presa in carico è però molto diversa rispetto a ciò che viene offerto ai malati seguiti dai servizi esterni. Si tratta di due pesi e due misure: dal punto di vista penale, fra salute e sicurezza, in carcere a prevalere è il principio della sicurezza, mentre nelle REMS è quello della salute e della riabilitazione della persona. In queste ultime la persona è di fatto “libera”: si può uscire, e seguire un percorso riabilitativo, lo stesso garantito dai servizi di salute mentale.

I numeri sulle recidive fanno pensare. I primi follow-up delle REMS danno dati bassissimi: un tasso di recidiva inferiore al 5 per cento, contro una media del 60-80 per cento fra chi esce dalle carceri. Il punto è dunque quando insorge la malattia mentale. “Nelle carceri di fatto non ci si riabilita da un disturbo mentale. Abbiamo diversi studi condotti su singole carceri che evidenziano che in media un detenuto su quattro presenti durante la detenzione sviluppa disturbi di tipo ansioso o depressivo, che vengono curati in carcere con approccio essenzialmente farmacologico. Il 5 per cento, che significa un detenuto su 20, presenta disturbi psicotici. Queste persone vengono spesso trattate in carcere o inviati agli ATSM (Articolazioni tutela della salute mentale). Ve ne sono oggi 34 in Italia, con 255 persone presenti. “Circa un detenuto su dieci riceve un’offerta formativa in carcere, anche professionalizzante, atta al reinserimento in società. Il carcere è basato sulla sicurezza.” A raccontarci lo spaccato di come funziona la salute mentale per le persone che hanno commesso un reato è Angelo Fioritti, psichiatra, presidente del Collegio nazionale dei Dipartimenti di salute mentale, che si occupa di salute mentale nelle carceri da molto tempo.

In Italia ci sono 190 istituti penitenziari in cui sono recluse 60.000 persone (18.000 in attesa di giudizio) a fronte di una capacità nominale di 42.000 posti. Si sono contate in un anno 4000 aggressioni, 827 a personale penitenziario, 11.000 episodi di autolesionismo, 55 suicidi (che significa un detenuto su 1000) e 1500 tentati suicidi. Ci sono 141 sezioni di isolamento che contengono 423 persone; 1768 detenuti scontano un ergastolo, 2893 una pena superiore ai 10 anni, 12.718 una pena tra i 3 e i 10 anni, e 12.519 una pena da scontare inferiore ai 3 anni.

La presa in carico della malattia mentale nelle REMS - Le REMS sono uno dei frutti della riforma strutturale epocale portata avanti fra il 2008 e il 2014: da allora la salute nelle carceri è diventata di competenza del Servizio sanitario nazionale, mentre prima era appannaggio dei dipendenti dell’amministrazione penitenziaria. Nel complesso le REMS offrono 600 posti letto: la metà della capienza rispetto agli ex ospedali psichiatrici. La riforma è nata in seguito ai lavori della Commissione parlamentare presieduta dal senatore Ignazio Marino che aveva documentato lo stato di degrado delle carceri italiane. L’Italia era stata sanzionata dal Consiglio d’Europa per violazione dei diritti umani. “Gli ospedali psichiatrici erano sostanzialmente delle carceri, ospitanti 1500 persone per una capienza di 1200,” racconta Fioritti. “Il problema è che abbiamo cambiato la gestione di queste persone senza modificare di una virgola il codice penale.” La rivoluzione è aver stabilito per la prima volta il principio che il malato di mente autore di reato è in primo luogo malato, e quindi va prima di tutto curato. In precedenza era invece l’aspetto criminale a essere tenuto in massima considerazione, e questo comportava la prevalenza del controllo. “Si stabilisce quindi che di norma le persone prosciolte per vizio di mente vengano avviate agli stessi percorsi di cura di chi non ha commesso reati. Se sussistono comunque elementi di pericolosità, possono essere inviati presso le residenze per l’ esecuzione delle misure di sicurezza.”

Il destino di alcune categorie di colpevoli è profondamente cambiato con questa riforma. “Per esempio, in precedenza le mamme che, affette da gravi disturbi post-partum, uccidono i propri bambini venivano internate negli ospedali psichiatrici giudiziari per anni, mentre oggi non finiscono neanche nelle REMS - continua Fioritti - ma nei dipartimenti di salute mentale sul territorio, insieme ad altre persone che stanno affrontando un percorso di cura, sebbene in misura di sicurezza. Ciò significa che il loro stato di libertà viene valutato periodicamente dal magistrato. Dopo un certo periodo in cui la mamma non è più considerata pericolosa, può essere rimessa in libertà.”

Via via che si sono create delle alternative - le REMS oppure la possibilità di essere inseriti in strutture residenziali dei Dipartimenti di salute mentale - i magistrati hanno iniziato a usarle in misura sempre maggiore, e quindi il numero di prosciolti ha iniziato a crescere. Non esiste una banca dati nazionale ma si stima che siano circa 8000 le persone colpevoli ma prosciolte per vizio di mente, a fronte dei 600 posti disponibili nelle REMS. Una parte di queste persone confluisce nei servizi pubblici, cioè nei centri salute mentale, e nei centri diurni, ma non basta. Chi è in attesa può aspettare in libertà, ma anche in detenzione. Nel 2022 si è espressa persino la Corte costituzionale chiedendo provvedimenti urgenti a livello legislativo, o per aumentare i posti nelle REMS.

La presa in carico della malattia mentale nelle carceri - Nel frattempo, chi al momento della condanna era risultato capace di intendere e di volere e che si fosse ammalato successivamente, non riceve lo stesso trattamento. La letteratura scientifica documenta inequivocabilmente la maggiore prevalenza di disturbi mentali gravi fra i detenuti rispetto alla popolazione generale. Secondo il XV rapporto dell’Associazione Antigone, del 2019, il 28,7 per cento circa dei detenuti italiani assume una terapia psichiatrica sotto prescrizione medica, e circa un detenuto su quattro ha problemi di tossicodipendenza. In un campione italiano di 300 detenuti nel carcere di Cagliari e 300 controlli di popolazione generale abbinati per età e sesso, tutti i disturbi indagati sono risultati sovra-rappresentati nei detenuti rispetto al gruppo di controllo. Nel 58,7 per cento dei detenuti è stata rilevata una patologia psichiatrica in atto, contro l’8,7 per cento nel gruppo di controllo.

Quest’area grigia è un problema enorme. La detenzione produce un’intensa sofferenza, in un contesto che vive una contraddizione cruciale: come si fa a curare la salute mentale in una situazione intrinsecamente afflittiva? Come sviluppare il potenziale di una persona in un luogo detentivo? “Non ci sono obblighi di performance per l’assistenza sanitaria in carcere - continua Fioritti - nonostante molta ricerca in merito e alcuni linee di intervento. Il tipo di intervento oggi è essenzialmente diagnostico-farmacologico, in carcere sono pochi i percorsi psicologici, la psicoterapia e la terapia occupazionale. Semmai si pensa a un trasferimento all’esterno se la situazione è particolarmente grave. La riabilitazione tramite il lavoro riguarda meno del 10 per cento dei detenuti.”

A scopo deflattivo, l’Amministrazione penitenziaria invoca di spostare i detenuti nei servizi di salute mentale sul territorio, che a loro volta sono oberati di lavoro. La Corte costituzionale ha richiamato il Parlamento alla necessità di cambiare le cose, a partire dal sistema delle pene. Nel 2019 si è espresso anche il Comitato nazionale per la bioetica, raccomandando di “provvedere a che la cura delle persone affette da grave disturbo mentale e che abbiano compiuto reati avvenga di regola sul territorio, in strutture terapeutiche e non in istituzioni detentive, in ottemperanza al principio della pari tutela della salute di chi è libero e di chi è stato condannato al carcere”, e di “rafforzare i servizi di salute mentale in carcere, superando la storica ‘separatezza’ ereditata dalla sanità penitenziaria: in modo che funzionino come parte integrante di forti Dipartimenti di salute mentale, capaci di individuare le risorse di rete territoriale per la cura delle patologie gravi al di fuori dal carcere e di collaborare a tal fine con la magistratura di cognizione e di sorveglianza.” Al momento però tutto rimane immobile.