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di Alessandro De Angelis

La Stampa, 11 novembre 2023

In tutta l’Europa si assiste a un inasprimento nell’approccio sull’immigrazione, cui non sono estranee neanche le forze sinistra radicale. Rapido viaggio nell’Europa progressista. In Germania il cancelliere Scholtz, socialdemocratico, sotto pressione per l’avanzata di Afd, ha faticosamente siglato un accordo con i governatori regionali che ha parecchie assonanze col “modello albanese” di Giorgia Meloni. Si prevede, questo il punto più delicato, che l’esame del diritto di asilo possa avvenire anche nei paesi di transito e nei paesi terzi. In Spagna, come noto, il socialista Sanchez non è affatto tenero coi migranti (a Ceuta e Melilla, in passato c’è scappata pure qualche pallottola). Di fronte all’aumento degli sbarchi alle Canarie, la scorsa settimana, il ministro dell’Interno spagnolo è volato in Senegal per fare ulteriore pressione sul governo affinché blocchi le partenze.

E ancora: nella Francia di Macron, che di destra non è, il Parlamento ha iniziato a discutere un disegno di legge che punta a inasprire le regole sull’immigrazione, criticato dalle Ong sul terreno dei diritti. Nella socialdemocratica Danimarca - già un passo avanti in quanto a misure restrittive - la premier Mette Federiksen ha tentato di varare il famoso “modello Ruanda” e ha proseguito con lo smantellamento dei quartieri abitati da immigrati di origine musulmana.

In tutta l’Europa (anche progressista) si assiste cioè a un inasprimento nell’approccio sull’immigrazione, cui non sono estranee neanche le forze sinistra radicale, che fu “altermondista”, solidale, traversatrice di mari sulle Ong. La rappresentazione icastica è la Linke tedesca. Proprio sull’immigrazione si consumata una scissione da parte dell’ex leader Sahra Wagenknecht, contraria alla candidatura di Carola Rakete e alla linea umanitaria, oltre che scettica sui vaccini e sull’Ucraina ai limiti della consonanza con Aft. La ricetta è superare il “buonismo di sinistra” in nome di una retorica in salsa marxista: le politiche di accoglienza favoriscono chi vuole la forza lavoro a buon mercato, teniamoli a casa loro. Che è esattamente quel che ha sostenuto Jean-Luc Mélenchon negli ultimi due lustri anche se, in verità, alle ultime presidenziali, ha usato toni un po’ meno “lepenisti”. Robert Fico, il “sovranista rosso” sospeso dal Pse per le sue posizioni filo-puntiniane, è invece passato direttamente alle vie brevi: droni, cannoni ad acqua e cavalli della polizia ai confini slovacchi.

Insomma, il populismo di sinistra sente la contiguità elettorale col populismo di destra e ne mutua logiche e parole. Il riformismo socialdemocratico, sotto pressione per le prossime elezioni, più che sfidare la destra coniugando umanità (nel senso di integrazione) e sicurezza, la insegue sul terreno securitario.

Qualche considerazione, nel giorno in cui il Pse è a congresso a Malaga. Tutte queste risposte hanno un limite: sono dettate dalla logica emergenziale, ma nessuna dà una risposta “strutturale” al dato “strutturale”, amplificato dal 7 ottobre: l’Africa. Invece di una risposta europea sull’Africa è tutta una ridda di risposte nazionali, che peraltro servono a poco: sulla logica del paese terzo non è riuscita neanche la Merkel con la Tunisia né Sunak col Ruanda. Anche la sinistra nostrana ha una “via italiana”, che consiste, sostanzialmente, nel negare il problema: “accogliamoli tutti”. L’umanità senza sicurezza, contrapposta alla sicurezza senza umanità, e accompagnata da una critica tutta moralisteggiante alle politiche altrui. Senza proporre una strategia alternativa di governo del fenomeno. Magari, vista la posizione geografica, facendosi carico di un’iniziativa politica, nel Pse e dunque nell’Europa, sull’Africa. Lì dove è già franato il famoso piano Mattei di Giorgia Meloni.