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di Paolo Dell’Oca

arche.it, 12 settembre 2024

Abbiamo intervistato il magistrato Francesco Maisto, Garante dei diritti delle persone private della libertà personale del Comune di Milano e componente dell’Osservatorio per il diritto allo studio in carcere dell’Università Statale di Milano, per avere uno sguardo autorevole e appassionato sulla situazione delle persone detenute in Italia.

Dottor Maisto, come valuta la situazione carceraria in Italia e quali sono i principali problemi affrontati dalle istituzioni penitenziarie?

La situazione carceraria in Italia è grave. Il Presidente della Repubblica ha descritto la situazione come “eccezionale”, richiedendo interventi urgenti. I principali problemi includono il sovraffollamento, con 61.758 detenuti rispetto a una capienza regolamentare di 50.911 posti e una capienza effettiva di 47.247 posti. Questo sovraffollamento porta a condizioni di vita inaccettabili, con un tasso di affollamento del 130%, che può superare il 140% in alcune carceri. Da gennaio 2024 ci sono stati 70 suicidi tra i detenuti. Inoltre Quest’anno anche 7 agenti di polizia penitenziaria si son tolti la vita. Questi numeri indicano sofferenza, e in questa situazione il rapporto tra popolazione detenuta e operatori penitenziari è diventato un rapporto, tranne casi rari, di inimicizia. Le carceri sono gravate da carenze di risorse e personale di ogni professionalità, il che peggiora ulteriormente le condizioni di vita dei detenuti e la loro salute mentale.

Con l’ultimo cambio di Governo è stata data esecuzione ad una circolare che prevede che, tranne le ore d’aria o le attività ricreative, sportive e culturali, le persone restano chiuse in cella. Tra questa limitazione notevolissima alla locomozione, il sovraffollamento e i numerosi casi di tortura accertati dalla magistratura, di violenza e di violenza aggravata nei confronti dei detenuti, ci stiamo avviando verso la situazione per cui l’Italia nel 2013 fu condannata dalla Corte Europea dei diritti umani con la sentenza Torreggiani. Conseguenze di quella sentenza furono il beneficio della liberazione anticipata speciale e la cosiddetta sorveglianza dinamica che permetteva di non lasciare i detenuti chiusi in cella per buona parte della giornata. Oggi però siamo anche in una situazione di carenza di giurisdizione perché il fatto che ci siano pendenti, solo a Milano e soltanto dall’inizio del 2024, 500 ricorsi di detenuti che lamentano la violazione dell’articolo 3 della carta convenzionale europea dei diritti dell’uomo (quello che proibisce la tortura e il trattamento o pena disumano o degradante) è una cosa che non si era mai vista. Diciamo che anche la magistratura di sorveglianza è in una situazione bloccata, è come se non esistesse più tutela giudiziaria.

Quali sono i diritti dei detenuti spesso trascurati e quali sfide affrontano specificamente le donne e i bambini detenuti?

I principali diritti trascurati includono il diritto alla salute, alla dignità e a condizioni di vita umane. Le donne detenute affrontano una situazione ancora più difficile in quanto il sistema carcerario è prevalentemente maschile, non solo per la maggioranza di detenuti uomini, ma anche per la prevalenza di personale e servizi pensati per uomini. Le donne spesso non hanno accesso a servizi ginecologici adeguati e, nonostante la presenza di reparti femminili, le condizioni di detenzione non tengono conto delle loro specifiche esigenze. Da tempo abbiamo avanzato la richiesta che ci sia un ufficio dedicato alle donne presso l’amministrazione centrale ma non è mai stato concesso.

Per quanto riguarda i bambini, l’esperienza degli ICAM (Istituti di Custodia Attenuata per Madri) a Milano rappresenta un’eccezione positiva: non c’è il muro di cinta, non c’è la sentinella armata, ci sono occasioni per portare i bambini fuori all’asilo, c’è il collegamento con la parrocchia locale per alcune attività, offrendo un ambiente più umano per le madri detenute e i loro figli. Ma questa realtà non è uniformemente replicata in tutto il paese dove, se il detenuto è considerato uno scarto, le donne sono più “scarte” degli scarti all’interno del sistema penitenziario.

E poi c’è il gran numero di detenuti migranti, ma non perché in rapporto agli italiani delinquono di più, ma perché ci troviamo di fronte a un sistema penitenziario razzista: la seconda settimana di maggio una delegazione dell’ONU ha fatto delle ispezioni a Milano ed ha indicato il nostro sistema come altamente selettivo e razzista. Non è difficile capire perché: gli stranieri, gli emarginati, i vagabondi, facilmente riconoscibili per la strada sono le persone che più facilmente si prestano ad essere oggetti di arresto e di attenzione da parte delle varie forze di polizia.

Qual è il ruolo delle organizzazioni non profit nel supportare le persone detenute?

Io dico che se non ci fosse il volontariato il nostro sistema penitenziario non reggerebbe, perché continuerebbe questa situazione di “attrito” tra il mondo dei detenuti e il mondo della custodia, e perché le organizzazioni non profit svolgono un ruolo cruciale sia all’interno che all’esterno delle carceri: procurare vestiti, cercare attività lavorative possibili, tenere i collegamenti, aiutare attraverso parole rigeneratrici, che diano speranza, perché qui proprio l’orizzonte della speranza non si vede.

Quali sono i bisogni e le sfide legate alla salute mentale e alle tossicodipendenze tra i detenuti?

Con oltre il 40% dei detenuti che sono tossicodipendenti e molti che soffrono di disturbi mentali, è essenziale portare i tossicodipendenti nelle comunità di recupero e migliorare l’accesso a servizi di salute mentale. Questi servizi devono essere adeguatamente finanziati e gestiti da personale qualificato, con l’obiettivo di offrire supporto terapeutico e riabilitativo.

Quali sono le prospettive per il sistema penitenziario italiano nel prossimo decennio?

Tutte le proposte richiedono tempi lunghi e denaro di cui non disponiamo, ma quali sarebbero? Aumentare gli istituti penitenziari con dei piani di edilizia penitenziaria, anche se la prima cosa da fare è ridurre il numero di detenuti applicando più misure alternative. Per ridurre i tentati suicidi bisogna incrementare i contatti dei detenuti con le famiglie: è stato promesso dai responsabili nazionali e non è stato realizzato, ma anche una telefonata in più permette di evitare che i tempi morti in cui sei in cella diventino tempi di morte.

Garante dei diritti delle persone private della libertà personale del Comune di Milano e componente dell’Osservatorio per il diritto allo studio in carcere dell’Università Statale di Milano.