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di Maurizio Crippa

Il Foglio, 14 settembre 2023

A Caivano non mancano i denari, né lo Stato. Ma la scelta di rompere il familismo asociale. Caivano, il carcere duro dovrebbero darlo a chi l’ha edificato, orrendo com’è. E due anni anche ai genitori che l’hanno mandato a scuola, l’architetto maledetto. Quindi ok, per fare un decreto Caivano bisogna essere più fessi che nemmeno nazisti. Poi però si deve passare alla domanda successiva, se non si voglia fare la figura dei furbetti del commentino: sarà davvero tutta colpa che “manca il welfare”, che “manca lo stato”?

Risposta multipla: saremo un po’ distratti, ma bambini denutriti come nel Sahel non ne abbiamo visti, a Caivano. Né figli senza motorino (quella era una canzone di Jannacci), né tredicenni senza il quattrino per il panuozzo e la nonna a casa a scofanare maccheroni.

Né fratelli maggiori senza la card o il pezzotto per attivare Dazn quando c’è il Napoli. Caivano non è morta nel fango come Derna, basta parole. La scuola farà schifo ma c’è, l’ospedale farà schifo ma c’è. È welfare scassato, ma esiste. Non è il mancato welfare a trasformare i minorenni in professionisti della stesa e dello stupro. Ma quella che potremmo invece chiamare la cultura familista asociale. Abbiamo letto ieri don Gennaro Pagano, psicoterapeuta ed ex cappellano del carcere minorile di Nisida, un’autorità di conoscenza e di morale, dire “mi viene lo sconforto, perché lo Stato non può limitarsi alla repressione.

Per essere competitivo con la camorra deve sostituirla nella funzione di supplenza che i clan si sono dati. A cominciare dal welfare”. E chi siamo noi per contestare? Se non per timidamente dire che c’è un’intercapedine tra welfare della camorra e welfare legale dove lo stato deve infilarsi, ma dove sono poi cittadini e famiglie che devono scegliere “il servizio”. Ma abbiamo letto ieri anche Mario Fillioley, scrittore e insegnante, sulla Stampa, affermare che non si può scaricare tutta l’ansia miracolistica del cambiamento sulla scuola, che miracoli non ne fa, bisogna invece “partire dai redditi e dal benessere economico”.

E chi siamo noi per negare? Ma, appunto, minorenni denutriti non ne abbiamo visti. Il welfare c’è, la scuola pure. Un insegnante di Caivano guadagna come uno di Treviso: se non riesce a far funzionare la sua scuola, o è perché lavora meno bene, o è perché le famiglie non chiedono alla “sua” scuola di funzionare bene. Per gli ospedali, potremmo dire con le dovute cautele qualcosa di simile. Certo, lo stato non può pensare soltanto a creare nuovi reati, a sorvegliare e punire, “viene lo sconforto”.

Ma lo stato fa quel che deve, tra cui rientra la prerogativa di sorvegliare e punire, se ci riesce. Don Maurizio Patriciello, parroco di Caivano, ha detto che i minorenni che delinquono “a 17 anni sono uomini scafati”, “ho sempre pensato che bisognerebbe abbassare la maggiore età dinanzi a reati gravi”, e che “il governo ha volto lo sguardo su questa realtà”. Don Patriciello, autorità morale e di sapienza pure lui, non don Nordio. Il resto lo dovrebbero fare i cittadini, le famiglie. Non è la bruttezza di Caivano, non è il welfare che manca, è una mentalità illegale, violenta, arcaica, che nessuno vuole spezzare.