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di Paola Pellai

Confidenze, 6 giugno 2023

A La Spezia un progetto speciale ha dato vita a uno spettacolo emozionante, recitato da detenuti e studenti del liceo. L’ho visto. E ho scoperto quanto il teatro possa unire ambienti diversi e abbattere i pregiudizi. Il teatro è uno spazio di libertà. Da questa certezza, nel 2018 è partito il progetto Per Aspera ad Astra, promosso sul territorio nazionale da Acri e sostenuto da 11 fondazioni bancarie. L’obiettivo? Riconfigurare il carcere attraverso cultura e bellezza. Un impegno che, nella quinta edizione, ha coinvolto in un percorso di 330 ore di formazione professionale un migliaio di detenuti di 15 diversi istituti. Quest’anno, grazie a un lavoro finanziato da Fondazione Carispezia e rappresentato al teatro Dialma di La Spezia, per la prima volta i carcerati della casa circondariale Villa Andreino hanno interagito con i ragazzi liceali del laboratorio No recess!, sotto la direzione artistica di Scarti-Centro di Produzione Teatrale d’Innovazione. Insieme hanno dato vita a Dirimpetto. Sinfonia di un tratto di strada: 11 detenuti e una quarantina di studenti si sono mescolati alla pari in uno spettacolo emozionante, per raccontare come le barriere non hanno ragione di esistere (e resistere).

Due mondi a confronto - La rappresentazione parte da un fatto: Villa Andreino e l’istituto Cardarelli, a La Spezia, distano solo 490 metri. Di fatto, i due edifici si guardano da anni. Eppure, reclusi e studenti non sapevano nulla dei rispettivi dirimpettai. Da qui, l’idea di mettere in contatto i due mondi. E di farli interagire in un campo libero, quello da calcio in scena, trasformando il teatro nell’occasione di un dialogo comune. “Prima che si incontrassero” spiega il regista Enrico Casale “mi sono chiesto quale linguaggio potesse unire generazioni e percorsi di vita così differenti. Ho pensato a Maradona, conosciuto tanto dal teenager quanto dall’anziano detenuto. E poi, ho ripescato una frase di Pasolini che indica nella partita di pallone e nella messa gli ultimi riti collettivi in cui il popolo ancora si rispecchia. Il “pibe de oro” e il papa aprono lo spettacolo proprio su un campo libero come quello del calcio”. La verità è, come ha sottolineato Andrea Cerri, presidente di Scarti, che “Questo spettacolo ha cambiato un po’ tutti: artisti, operatori e pubblico”. A me sono bastati i due incitamenti iniziali: “ascoltate, respirate”. “Occorre prestare attenzione senza giudicare” sottolinea il regista. “E avvertire il respiro che il carcere toglie insieme all’aria. Me lo ha ricordato Alessandro al termine della prova generale: insieme alla polizia penitenziaria stava fumando una sigaretta alle 23 nel cortile del teatro. Erano 11 anni non provava l’emozione di essere all’aria aperta a quell’ora”.

Casale mi spiega che per conquistare la fiducia dei reclusi si è affidato alla delicatezza. “In carcere non la conoscono. Ma se al termine dello spettacolo mi sono commosso, è perché questa immane fatica ha fatto centro portando felicità ed emozioni. Agli spettatori, ma anche agli interpreti”.

Parlano i reclusi - Negli occhi del tunisino Rammah Heitem, 37 anni, in Italia da 18 leggo la felicità. “Nella vita ho commesso degli errori, però sono pronto a scrivere una pagina nuova. Ho sposato un’italiana e ho due bimbe che sono il mio riscatto. Il teatro mi ha insegnato tanto. E agli studenti ho ripetuto spesso che stare al mondo è bello, ma bisogna seguirne le regole e rifuggire dalla droga. L’emozione più grande me l’ha regalata mia figlia di sei anni, che dopo avermi visto mi ha detto che vuole recitare come me. Il difficile è stato quando è scoppiata a piangere perché voleva che tornassi a casa con lei”. È cresciuto tanto anche il napoletano Francesco Felici, 60 anni, di cui quasi la metà trascorsa in carcere. “Il teatro è vita e adrenalina” spiega. “Ti aiuta a dare un senso al tempo che, se speso bene, ti permette di diventare uomo con la U maiuscola. Io sono entrato in prigione con la quinta elementare e ora sono iscritto a Giurisprudenza. Il primo incontro con gli studenti è stato magico, senza preconcetti, né bisogno di raccontare le nostre storie. La storia siamo noi”.

I ragazzi, entusiasti - Lo confermano gli studenti. Alessandro Prezioso, 18 anni, racconta: “Al primo incontro in carcere eravamo in ansia. Ma appena ci siamo ritrovati nella stessa stanza non c’erano distanze, eravamo solo un gruppo di attori pronti a tirare fuori il meglio di noi stessi. Ho scoperto il teatro un anno fa e mi ha aiutato a relazionarmi con chiunque, a prescindere da chi è”. Lucrezia Anastasi, 17 anni, sostiene che “Stare sul palco è una forma d’arte rivoluzionaria”. Mentre Tommaso Donato (18) è ribadisce: “Tra studenti e reclusi ci siamo riconosciuti subito come un cast di attori affiatati. Sembrava lavorassimo insieme da sempre”. Christian Alberto Rotundo, torinese, 34 anni, da quattro detenuto dice: “Ho scontato metà della pena e oggi ho trovato il bello anche in un contesto difficile come il nostro. Da uomo libero voglio guadagnare il tempo perso. Sogno di essere felice e di restituire tutto l’amore ricevuto a mia mamma Anna Maria, alla mia compagna e a mio figlio Ryan, che a 13 anni ed è già più alto di me. Stare lontano da loro è la pena più grande”.

Passione, amore, rispetto - Lo spettacolo, sold out in tutte e quattro le rappresentazioni al Dialma, è intenso e coinvolgente. “Il lavoro che faccio in prigione” racconta il regista “si nutre di tutte le suggestioni possibili. Questo spettacolo nasce dagli spunti individuati da un detenuto in Insulti al pubblico di Peter Handke, un manifesto contro un teatro di convenzioni. Ci siamo impegnati attingendo a fonti diverse, dal Faust di Goethe al monologo di Al Pacino in Scarface, arrivando a Gioachino Rossini. Perché io in carcere obbligo ad ascoltare musica classica, altrimenti molti si perderebbero nella violenza e la volgarità di troppi testi trap”. Un percorso di recitazione scandito da tre parole: passione, amore e rispetto. “Non era così scontato mettendo di fronte due realtà tanto diverse” conferma Casale. “Invece, mi ha stupito il reciproco ossequio tra i gruppi: mai un gesto, una parola o uno sguardo fuori luogo. Per non parlare della collaborazione tra studenti e detenuti in scena e nelle prove. Una bella finestra aperta sul futuro”.