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di Alberto Simoni

La Stampa, 20 luglio 2023

Il tweet con cui martedì il Dipartimento di Stato ha chiesto il rilancio dello studente è un messaggio che Washington ha voluto indirizzare al leader egiziano Al Sisi. C’è la spinta americana dietro la grazia che Al Sisi ha concesso a Patrick Zaki e a Mohammed El Baqer riconsegnando loro la libertà. Il tweet con cui martedì il Dipartimento di Stato ha chiesto il rilancio, immediato, dello studente copto dell’ateneo di Bologna va oltre l’auspicio ed è un messaggio che Washington ha voluto indirizzare al leader egiziano Al Sisi. Un portavoce del Dipartimento di Stato a La Stampa ha detto che “accogliamo con favore le notizie che vengono dall’Egitto della grazia presidenziale per Zaki e El-Baqer”. Quindi il diplomatico ha ricordato “che anzitutto nessuno dei due doveva essere imprigionato” e ribadito quanto in gennaio aveva detto il segretario di Stato Antony Blinken in missione proprio al Cairo, ovvero che tutti gli egiziani devono potersi esprimere liberamente senza il timore di rappresaglie.

È all’interno di questa cornice che Washington ha deciso di inviare il tweet pro-Zaki e pro El-Baqer, non casuali e non estemporanei ma figli di una strategia che, se colloca Al Sisi al centro dello scacchiere africano e mediorientale elevandolo ad alleato prezioso e fondamentale sui temi economici e di sicurezza, dall’altra non lo esenta da subire le pressioni Usa sul fronte dei diritti.

Nel comunicato diffuso dal Dipartimento di Stato dopo un bilaterale dello scorso dicembre, infatti, Blinken metteva l’accento su un aspetto: ovvero che le relazioni bilaterali fra Usa ed Egitto “sono rafforzate dai tangibili progressi sui diritti umani in Egitto”.

Su quella parola, tangibili, ci sono state diverse puntualizzazioni e critiche, ma Washington ha comunque volute sottolineare che il rilascio di diversi detenuti politici, avvenuto in novembre, e il miglioramento delle libertà fondamentali e dei diritti umani rappresentavano un fatto importante. Ieri in una nota inviata a La Stampa, un portavoce del Dipartimento di Stato ha ribadito che Washington continuerà a fare pressioni sull’Egitto affinché rilasci tutti gli individui ancora detenuti per aver esercitato la libertà di espressione e altri diritti fondamentali.

Quando a Zaki è stata martedì recapitata la sentenza di detenzione, a Washington si è acceso un faro. Di quello studente infatti - non cittadino italiano ma egiziano - Blinken ne aveva sentito parlare già dall’ex ministro degli Esteri Luigi Di Maio e a lui aveva promesso che l’America di Biden non avrebbe indietreggiato di fronte a certi abusi in linea con l’iniziativa globale del Dipartimento di Stato “Without Just Cause”. Non c’era stato, e né poteva esserci un impegno diretto, ma la vicenda era ben nota fra i diplomatici Usa. Da qui la decisione di attivarsi, in primis recapitando il tweet usato come clava diplomatica per ribadire ad Al Sisi che la tenuta delle relazioni si basa anche sul progresso sul fronte dei diritti.

La sottolineatura diplomatica via tweet Usa è anche indirettamente un regalo che a pochi giorni dalla visita alla Casa Bianca, Washington ha offerto alla premier Meloni che sia fra i corridoi di Foggy Bottom sia al 1600 di Pennsylvania Avenue è riuscita in pochi mesi a creare un’immagine positiva. Diversi diplomatici della cerchia di Blinken, infatti, sin dall’inizio del governo italiano a trazione sovranista hanno spinto il segretario di Stato a cercare di coinvolgere sempre più l’Italia in diverse iniziative temendo un dominio sull’Europa, sparita dai radar della Ue la Gran Bretagna, della coppia franco-tedesca.