sito

storico

Archivio storico

                   5permille

   

di Paolo Brera

La Repubblica, 30 giugno 2023

In assemblea generale 83 voti favorevoli, 11 contrari (tra cui Russia e Cina) e 62 astensioni. Molti potrebbero essere ancora detenuti nelle carceri di Damasco dai tempi della guerra civile.

Ci sono voluti dodici anni, un’infinità di dolore e la denuncia compatta dei parenti delle vittime e di un centinaio di organizzazioni umanitarie ma alla fine il carrozzone dell’Onu è riuscito a percorrere quella piccola grande tappa così a lungo attesa: con 83 voti favorevoli, 11 contrari e ben 62 astenuti l’Assemblea generale delle Nazioni unite ha approvato la risoluzione che istituisce un organismo indipendente incaricato di indagare sulla sorte di 130 mila persone che si calcola siano scomparse in Siria durante la guerra civile.

E’ un voto storico che ascolta la richiesta dei parenti delle vittime, preoccupati che in nome del nuovo clima di parziale riapertura nei confronti del regime siriano sancita dalla riammissione nella Lega Araba si dimenticassero i crimini commessi. Una vergogna in gran parte (ma non esclusivamente) ascrivibile al governo siriano, che non a caso ha votato contro la risoluzione. Il dramma dei desaparecidos siriani è figlio della rivoluzione e della guerra civile siriana iniziata nel 2011: gli arresti, le torture e le sparizioni improvvise sono lo strumento utilizzato per reprimere le proteste, sopprimere il dissenso ed eliminare ogni minaccia interna. Lo ha utilizzato largamente il regime di Assad, ma lo hanno utilizzato anche le fazioni ribelli.

Una settimana fa, alla vigilia di un voto molto atteso, nove organizzazioni siriane che raccolgono le famiglie degli scomparsi e una decina di famiglie avevano scritto un appello insieme a 101 organizzazioni per la difesa dei diritti umani siriane e internazionali chiedendo che venisse approvata la risoluzione. “Per più di dieci anni le famiglie dei dispersi hanno affrontato enormi difficoltà nell’ottenere qualsiasi informazione sulla sorte dei loro cari, una questione che tutte le parti in conflitto non sono state disposte ad affrontare lasciandoli in uno stato di perpetua agonia e incertezza”, aveva denunciato Agnès Callamard, segretaria generale di Amnesty International, chiedendo all’Onu di “aiutarli a trovare alcune delle risposte che meritano”.

Il voto degli 11 paesi contrari (Bolivia, Cina, Cuba, Bielorussia, Corea del nord, Eritrea, Iran, Nicaragua, Russia, Siria e Zimbabwe) è una mappa del sovranismo autarchico, e chi ha scelto di astenersi ha motivato la decisione dicendo che “strumentalizza politicamente l’assistenza umanitaria e non contribuisce alla pace nella regione”, come ha dichiarato per esempio il Venezuela secondo cui il voto “risponde all’agenda politica dei suoi promotori, incoraggia la divisione e va contro i principi della Carta delle Nazioni Unite”. L’ambasciatore siriano Bassam Sabbagh ha definito la risoluzione “politicizzata” chiedendo che venisse respinta come “flagrante interferenza negli affari interni siriani” e come ennesima prova di un “approccio ostile” degli Usa e dei Paesi occidentali. La tesi siriana è che Damasco abbia già affrontato la questione elaborando tutte le richieste di informazioni presentate alle autorità e svolgendo “indagini indipendenti in conformità con la legge siriana e sulla base delle informazioni e delle risorse disponibili”. “Anche con una cooperazione iniziale limitata o nulla da parte di Damasco, crediamo che questa istituzione farà progressi significativi”, ha tagliato corto il vice ambasciatore degli Stati Uniti, Jeffrey DeLaurentis.

Il fatto che i voti contrari abbiano raccolto solo 11 adesioni è un segno di quanto fosse indifendibile la tesi di una strumentalizzazione politica di fronte a una tragedia immane e alla voce disperata di decine di migliaia di famiglie che non sanno neppure se i loro congiunti siano ancora vivi, in qualche segreta del regime o nelle mani dei non meno feroci ribelli islamisti.

Il nuovo organismo avrà il compito di registrare ufficialmente i casi raccogliendo le informazioni e coordinandosi con altri meccanismi già esistenti. Ne saranno rappresentate le vittime accertate, i sopravvissuti e le famiglie dei dispersi. Il segretario dell’Onu, Antonio Guterres, deve adottare le misure necessarie a istituire rapidamente l’organismo e a metterlo in funzione, ed entro 100 giorni lavorativi dovrà riferire sulla sua attuazione.

Le famiglie e i sopravvissuti avevano chiesto aiuto in questi anni senza mai riuscire a scalfire le coscienze di chi aveva il potere di offrirglielo. La battaglia è stata lunga, come sempre quando a muoversi è il colosso dell’Onu paralizzato dai veti incrociati. Ma a agosto dello scorso anno Guterres propose la creazione di un’istituzione indipendente, e fu una svolta di cui ora si vedono i risultati. “La stragrande maggioranza dei desaparecidos è detenuta in condizioni orribili nelle carceri del regime di Assad, ed è tagliata fuori da ogni contatto con il mondo esterno”, ha denunciato The Syria Campaign secondo cui “il ritorno di Bashar Al-Assad nella Lega Araba e la sua riabilitazione sulla scena diplomatica” rendono “cruciale” mantenere i riflettori accesi sui “crimini contro l’umanità” commessi in questi 12 anni, tra cui “le sparizioni forzate di massa”.

L’Italia, che ha votato a favore, non ha mai avuto esitazioni a schierarsi: a marzo il rappresentante permanente presso l’Onu, l’ambasciatore Vincenzo Grassi, era intervenuto alla 52ma sessione del Consiglio diritti umani sostenendo la richiesta di Guterres e riaffermando “la preoccupazione dell’Italia per i casi di detenzione arbitraria, tortura e sparizioni forzate, nonché di violenza sessuale e di genere segnalati in Siria”. In questi dodici anni di conflitto sono state uccise mezzo milione di persone, e ci sono più di 11 milioni di sfollati su una popolazione di 23 milioni.