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di Damiano Aliprandi

Il Dubbio, 15 aprile 2023

Giovedì 27 aprile la Corte di Cassazione emetterà la sua decisione sulla lunga e travagliata odissea giudiziaria che vede coinvolti in primis gli ex Ros Mario Mori e Giuseppe De Donno per la vicenda della cosiddetta Trattativa Stato-mafia.

All’esame del collegio c’è la sentenza di 2.791 pagine emessa dalla Corte d’Assise d’Appello di Palermo, che il 23 settembre 2021 ha ribaltato la decisione di primo grado assolvendo “per non aver commesso il fatto” l’ex senatore Marcello Dell’Utri e “perché il fatto non costituisce reato” gli ex generali del Ros dei Carabinieri Mario Mori, Giuseppe De Donno e Antonio Subranni. Confermate solo le condanne al boss corleonese Leoluca Bagarella (ridotta da 28 a 27 anni) e quella al medico Antonino Cinà (12 anni).

La procura generale di Palermo ha impugnato la sentenza e ha chiesto l’annullamento, proseguendo in sostanza la linea intrapresa dalla procura palermitana fin dal 2008, quando con l’arrivo del super teste Massimo Ciancimino, hanno potuto imbastire il processo trattativa.

Un super teste che si rivelerà inattendibile su più fronti. Soprattutto era emersa la palese strumentalità del suo atteggiamento processuale, la gravità degli artifici adoperati per rendere credibili le sue sensazionali rivelazioni e giustificare le molteplici contraddizioni e per tenere ‘sulla corda’ i pubblici ministeri, col protrarre la promessa di consegnar loro il “papello” (una volta consegnato, si rivelerà una patacca), carpirne così la considerazione e mantenere sempre alta su di sé l’attenzione generale, accompagnato nel suo luminoso cammino dalla stampa e dal potente mezzo televisivo in trasmissioni in prima serata.

Resta il fatto che secondo l’accusa, gli ex Ros prima e il senatore Marcello Dell’Utri poi, sarebbero stati i veicolatori della minaccia mafiosa al governo. I primi, su incarico dei politici (l’allora ex ministro Calogero Mannino), avrebbero contattato Vito Ciancimino per poter recepire tale messaggio e veicolarlo. Ecco il reato di minaccia al corpo politico dello Stato.

Il problema di fondo è che non c’è alcuna prova, solo congetture e testimonianze de relato, tra l’alto arricchite con gli anni. Sappiamo che Mannino, secondo la tesi il mandante, è stato assolto con il rito abbreviato fino al sigillo della Cassazione. Quindi il teorema già viene decapitato: fuori i politici come mandanti. Dell’Utri, in appello, assolto perché non ha commesso il reato. Gli ex Ros assolti, ma perché “il fatto non costituisce reato”. Non c’era dolo per i giudici della corte d’Appello.

Ebbene, cosa è accaduto in Cassazione? La procura generale della Corte Suprema ha chiesto la conferma dell’assoluzione di Dell’Utri, e nel contempo ha chiesto un nuovo processo per gli ex Ros per un motivo ben preciso: la ricostruzione che vede Mori e De Donno veicolare comunque la minaccia è piena zeppa di congetture.

I procuratori generali della Corte Suprema hanno chiesto l’annullamento per rivalutare quella parte. Secondo loro i fatti storici non sono dimostrati “oltre ogni ragionevole dubbio”. Una esigenza processuale importante, perché la sentenza fornisce una risposta non conforme al diritto. E viene da sé, che l’assoluzione “il fatto non costituisce reato” non restituisce una piena dignità. Il fatto non è stato dimostrato. Ora toccherà alla Cassazione decidere.