di Luigi Manconi
La Repubblica, 9 febbraio 2023
Rinchiuso nell’ottobre del 2022 in un istituto di pena vicino a Cannes, il 18 gennaio è stata data notizia della sua scomparsa. Le autorità dicono si tratti di suicidio. Ma in questa vicenda ci sono diversi aspetti poco chiari. A pochi chilometri da Cannes, in Francia, si trova il carcere di Grasse. Qui, fino a due mesi fa, era detenuto Daniel Radosavljevic, un cittadino italiano di 20 anni residente a Rho, in provincia di Milano. Nell’ottobre del 2022 Daniel è stato arrestato dalla gendarmeria francese per non aver rispettato l’alt a un posto di blocco.
Il 18 gennaio scorso è stata data notizia della sua morte all’interno del carcere francese. Secondo le autorità, si è trattato di un suicidio per impiccagione, tuttavia, alcuni aspetti di questa vicenda risultano poco chiari. Simone Alliva, sull’Espresso del 3 febbraio scorso, ricostruisce i fatti e rende nota una videochiamata tra i parenti del giovane e un detenuto del carcere di Grasse. Quest’ultimo non ritiene possibile “che Daniel abbia fatto questo”. E alla domanda su cosa possa essere accaduto risponde: “Ha litigato con un altro detenuto. La sorveglianza lo ha messo in cella con una diversa persona. Daniel non era d’accordo, si è arrabbiato e la guardia carceraria lo ha picchiato”.
Il 24 gennaio la madre raggiunge l’istituto francese per recuperare gli effetti personali del figlio. Qui altri due elementi sembrano alimentare i sospetti intorno al presunto suicidio: i segni sul suo corpo e il contenuto di alcune sue lettere. Il cadavere sembra riportare una ferita alla testa e una al costato, un mignolo rotto e parti di unghie spezzate. Ma non sono stati individuati segni sul collo che possano rimandare a una impiccagione. D’altra parte, gli appunti scritti da Daniel rivelano uno stato di inquietudine inequivocabile. In un foglio che riporta la data dell’11 dicembre si legge: “So che pensate che io abbia infamato Isham, ma andate a chiedere alle guardie di informarsi chi è stato a parlare. [...] Ripeto, preferisco morire che fare l’infame”. E ancora: “Queste sono le parole con cui affronterò i detenuti. Non so se oggi morirò, ma se così accadrà sono morto per la verità”. In un altro scritto del 16 gennaio, il giovane racconta un episodio di tensione avvenuto nell’area Sport dell’istituto. Scrive: “Ho preso le mie cose e mi sono diretto da chi mi sentivo al sicuro. Mi sono acceso una sigaretta per tranquillizzarmi”.
Dalle carte emerge dunque quel tessuto di relazioni che vige in qualsiasi prigione: i rapporti tra i detenuti sono governati da gerarchie interne che determinano alleanze e inimicizie, complicità e contrasti. Daniel Radosavljevic cercava di comunicare il suo disagio come se quelle pagine fossero le uniche alle quali poter affidare il suo sentimento di paura. Dopo uno scambio avvenuto con il compagno di cella, il giovane descrive la sua preoccupazione sempre più crescente: “Ed è lì che ho cominciato a insospettirmi ancora di più. [...] Ero agitato, impaurito e non trovavo soluzione”. Conclude così: “Se dovessi morire in questo carcere per ultima cosa chiedo che i miei scritti vengano dati alla mia famiglia”.
Ora l’avvocata Francesca Rupalti, che rappresenta la famiglia del giovane, ha inviato un esposto al Tribunale di Roma, che ha la competenza per i delitti commessi all’estero a danno di cittadini italiani. Il corpo è tornato in Italia e si trova a Rho, in attesa dell’autopsia che sarà effettuata oggi, 8 febbraio, all’Istituto di medicina legale di Milano. Si spera che emergano elementi ulteriori e che, per arrivare alla verità, non si debba aspettare un’eternità.