sito

storico

Archivio storico

                   5permille

   

di Cristina Taglietti

Corriere della Sera, 8 settembre 2023

L’impegno del sociologo Luigi Manconi e del fumettista Zerocalcare, ieri in dialogo. Il fumettista di Rebibbia e il sociologo dei fenomeni politici, insieme per parlare di carceri e giustizia. Ieri sera al Festivaletteratura.

Il fumettista di Rebibbia e il sociologo dei fenomeni politici, insieme per parlare di carceri e giustizia. Ieri sera al Festivaletteratura Zerocalcare (per l’occasione chiamato sempre con il suo nome, Michele Rech) e Luigi Manconi si sono confrontati su un tema caro a entrambi. Il disegnatore vicino ai centri sociali, autore di numerosi albi per Bao Publishing (La profezia dell’Armadillo, Kobane Calling, Niente di nuovo sul y fronte di Rebibbia) oltre che delle serie animate per Netflix Strappare lungo i bordi e Questo mondo non mi renderà cattivo, e lo studioso, più volte parlamentare, fondatore negli anni Ottanta della rivista “Antigone”, da sempre impegnato sul fronte della giustizia (presiede Fonlus A buon diritto, dedita alla tutela dei diritti fondamentali della persona): due voci che arrivano a chicdersi: Oltre le sbarre cosa?.

Le analisi e i dati di Manconi, la narrazione di Zerocalcare, che ha messo al centro dei suoi libri il quartiere di Rebibbia, dove vive. Dignità è la parola chiave da cui parte Manconi per chiedersi: “Che dignità può avere una persona che nello stesso lavandino si deve lavare il viso, i piedi e l’insalata? Tutto in un carcere porta alla negazione di quella dignità. Anche il sovraffollamento è funzionale allo scopo non detto del carcere, l’infantilizzazione del detenuto, che deve stare in uno stato di minorità”.

Nel carcere, come nella società, il linguaggio è decisivo: “Tutto - dice Manconi - rimanda a quest’infantilizzazione: la domandina che si deve fare per qualunque cosa, che sia una visita medica o un colloquio; il detenuto addetto alle pulizie viene chiamato scopino; quello alle spese spesino; il compagno di cella è il concellino. Il detenuto è come un bambino, privo di autonomia, di indipendenza, per lui non è prevista la dimensione affettiva, familiare, sessuale. Perché ciò che è funzionale non è un detenuto consapevole, ma un detenuto subalterno”.

La dimensione familiare del carcerato la intravede Zerocalcare accanto al “moloch gigantesco di Rebibbia che è grande quanto il quartiere stesso, anzi di più, visto che si estende oltre. Chi abita lì - dice - vive l’indotto del carcere, costituito dai secondini, ma anche da un’umanità che non si vede altrove: le persone che arrivano, i visitatori, i parenti, i padri che portano i figli sul pratone da cui si vede la sezione femminile. Ma al tempo stesso, lì come nella società, il carcere è qualcosa di rimosso perché quello che succede dentro le mura fuori non si vede”. E qui si arriva, secondo Manconi, a un’altra parola chiave, rimozione: “Il carcere è davvero il grande rimosso, il luogo in cui viene imprigionato chi ha commesso il male, perturbante per tutti perché in qualche modo tutti avvertono di non essere completamente al riparo da quella tentazione. Bisogna spostare ciò che turba, inquieta, crea disagio.

Per questo da anni si parla della possibilità di spostare Regina Coeli dal centro di Roma e San Vittore dal centro di Milano, due istituti conficcali nel cuore delle due città, due simboli così corposi e materiali. Per questo il lavoro di Michele è così importante”. Eppure, aggiunge il fumettista, “le mie posizioni sul carcere continuano a provocare un grande choc nei miei lettori, anche quelli più progressisti, più allineati con le mie idee, tanto che a volte ho l’impressione che del carcere abbiano parlato solo per dire che Berlusconi ci doveva andare”.

Espressioni come bisogna buttare la chiave, non è un albergo a cinque stelle o dovevano pensarci prima sono usate da una parte e dall’altra. Anche se, dice Zerocalcare, “ho l’impressione che il cattivismo sia qualcosa di facile quando non si deve fare i conti con le conseguenze. Se fossero chiamati a essere i boia in prima persona, anche le loro parole cambierebbero”.

Il passaggio dal controllo del corpo come attività di vigilanza, centro del sistema carcerario, dice Manconi, diventa a volte manipolazione, violenza, tortura. “Che cosa ci dice il dato che i suicidi in carcere arrivano a essere anche 18 volte in più dei suicidi fuori? E che cosa ci dicono quei 19 bambini da zero a 3 anni per cui il nostro sgangherato welfare non è stato in grado di trovare una soluzione alternativa al tenerli in cella con le madri?”.

Le domande come questa sono molte. Michele Rech ricorda che anche il carcere è una istituzione di classe: avere un domicilio, qualcuno che ti dà un lavoro, o non averli, fa la differenza. Manconi risponde con un altro dato che dice tutto: “La recidiva da parte di coloro che hanno espiato la loro pena interamente in cella è del 70%. La recidiva di chi ha avuto accesso a misure alternative, come i domiciliari, del 20%”.