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di Manuel Colosio

Corriere della Sera, 6 aprile 2024

Realizzata nel carcere più sovraffollato d’Italia dal regista bresciano Nicola Zambelli, sarà presentata al Nuovo Eden e poi pubblicata su Instagram. Spesso i documentari vengono presentati come speciali, dei quali si sente il bisogno ed evidenziano problemi reali. Non sempre lo sono, purtroppo. Nel caso di “11 giorni” invece, ultima fatica del regista bresciano Nicola Zambelli, la qualità e i contenuti esprimono davvero elementi unici, innovativi ed indispensabili: girato nel carcere Nerio Fischione, il più sovraffollato d’Italia, dà voce solo ai detenuti che raccontano la loro condizione di privazione della libertà in un format inedito di 33 episodi da un minuto, pubblicati nell’arco di 11 giorni su una pagina Instagram (@11.giorni).

“L’obbiettivo di questa web-serie è quello di rivolgersi a un pubblico adolescenziale, che vive di social, per renderli maggiormente consapevoli sul tema” spiega Francesco Zambelli dell’associazione culturale InPrimis, che con Smk Factory e Associazione Carcere e Territorio ha prodotto il documentario che martedì 9 aprile arriva in versione integrale al cinema Nuovo Eden, per approdare nuovamente sui social due giorni dopo. Nel frattempo è entrato nelle scuole bresciane, dove sono stati realizzati 16 incontri che hanno coinvolto 400 studenti “che ci hanno fatto capire quanto fosse uno strumento importante di educazione civica” afferma Nicola Zambelli, regista dalla spiccata tensione sociale e abile compositore di immagini che anche stavolta riescono a trasportare lo spettatore, attraverso una superba fotografia e la scelta di non legare mai volti di detenuti alle testimonianze, nella drammaticità che si vive dentro quelle mura “che rappresentano violenza, elemento che contraddistingue il carcere in ogni sua forma” ricorda.

Violenza che spinge a ragionare sulla disumanità che accompagna la reclusione e descritta “in un momento in cui la situazione era meno coercitiva di adesso” denuncia la garante dei detenuti del Comune di Brescia Luisa Ravagnani, la quale spiega come “nel periodo delle riprese le celle rimanevano aperte di giorno, mentre adesso sono tornate chiuse”. Questo anche a causa delle tensioni generate dal cronico sovraffollamento e dalla mancanza di personale. “Anche per questo è necessario che si trovino strumenti per svuotare le carceri, magari tornando ai 75 giorni di pena ridotta per buona condotta ogni sei mesi invece che gli attuali 45” chiede Ravagnani, portavoce di una condizione riconosciuta unanimemente come inaccettabile (già 29 suicidi di detenuti e 3 agenti in Italia nel 2024).

La rotta va invertita, ma poco viene fatto. Forse perché, come recita una lettera scritta dagli stessi detenuti e che ha animato l’idea della web-serie, “sappiamo bene di essere l’ultima categoria a suscitare l’interesse di qualcuno e, probabilmente, anche l’ultima per la quale qualcuno decida di alzarsi e vedere come viviamo”. Lettera che esprimeva il desiderio “di incontrare qualcuno che confermi che si è arrivati al capolinea, risolvere questa situazione insostenibile una volta per tutte, perché la dignità di ogni uomo ha pari valore”. Lo hanno incontrato, e il risultato è questa pregevole opera.