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di Davide Varì

Il Dubbio, 8 aprile 2024

Leggi oscure e scritte male? Ora basta, dice il professor Bambi: “Con la semplificazione linguistica si attuerà finalmente il giusto processo”. “Ci sono leggi recenti, e meno, che sono scritte bene (un esempio classico è il Codice civile), ma in genere la loro qualità di scrittura e di chiarezza è bassa”. Lo afferma l’Accademia della Crusca in un intervento pubblicato suo sito internet dal titolo “Una lingua davvero per tutti (quella del diritto)”, come riferisce l’Adnkronos, affidata al socio accademico Federigo Bambi, professore di Storia del diritto medievale e moderno presso il Dipartimento di Scienze giuridiche dell’Università di Firenze, dove insegna anche Lingua giuridica. “Oggi le nostre leggi risentono di difetti simili a quelli che caratterizzano la lingua della pratica del diritto, e la loro lettura è sempre più difficile - scrive Bambi -: gli articoli sono lunghi e troppo densi di contenuti, le rubriche non indicano con appropriatezza quanto la norma stabilisce; anche le frasi sono lunghe e spesso caratterizzate dalla nominalizzazione (un solo nome sostituisce un verbo e quindi un’intera frase); il lessico è spesso usato impropriamente; per non dire poi degli eccessivi rinvii e riferimenti ad altre norme”.

Quella del diritto è necessariamente una lingua tecnica, ma lingua tecnica, sostiene l’accademico della Crusca “non può voler dire lingua comprensibile ai soli specialisti. Sia la lingua della legge, sia quella della pratica del diritto, sia quella dell’amministrazione dovrebbero poter arrivare anche ai cittadini, in primo luogo per ragione di democrazia: non bisogna dimenticare che, ad esempio, le sentenze sono pronunciate in nome del popolo, e la motivazione ha anche la funzione extra-processuale di rendere il processo controllabile dai cittadini. E va anche tenuto conto che il livello d’istruzione in Italia è, purtroppo, tra i più bassi d’Europa”.

Secondo il professor Federico Bambi, l’obiettivo di una maggiore comprensibilità “si può raggiungere non tanto abbandonando il lessico tecnico, che è necessario proprio ai fini della chiarezza, ma abituando il giurista - sia giudice, sia avvocato, sia funzionario pubblico, sia redattore tecnico delle leggi - fin dal momento della sua formazione a un periodare piano, ma al tempo stesso adeguato alla complessità delle questioni da risolvere. Se la costruzione del periodo è il più possibile piana (non necessariamente semplice: a volte può essere necessario articolare il discorso in subordinate, se si tratta di affrontare un ragionamento complesso), se le frasi sono brevi, se si abbandonano le parole che non esprimono un concetto tecnico, ma servono solo ad alzare il tono del discorso, anche chi giurista non è riesce subito a individuare i tecnicismi; una volta individuati, ha oggi tutti gli strumenti per disinnescarne la complessità semantica”.

A parere dell’accademico della Crusca, “oggi è sempre più necessario che una formazione linguistica sia acquisita da tutti i giuristi, non solo perché si possano fare intendere dai comuni cittadini, ma anche per capirsi meglio tra loro in un mondo - quello del diritto - sempre più caratterizzato da specializzazioni e da specialismi, anche lessicali. In questa direzione è necessario che si muovano in primo luogo le università: alcune scuole di giurisprudenza si stanno aprendo anche agli aspetti linguistici del diritto, non solamente a quelli dogmatici tradizionali, nella riscoperta consapevolezza che il primo strumento del mestiere del giurista, accanto al codice, è la scrittura”. Bambi evidenzia che “una chiara indicazione in questa direzione ci viene dalla recente riforma del processo civile che ha introdotto anche in questo settore dell’ordinamento il principio di sinteticità e chiarezza degli atti”.

Con un decreto ministeriale attuativo, il Dm 110/2023, sono stati stabiliti criteri di redazione degli atti, limiti dimensionali, e tecniche redazionali. Spiega l’accademico della Crusca: “Senza ingabbiare troppo la lingua degli avvocati e dei giudici, la riforma ha anzi fornito gli strumenti per esaltarne le potenzialità perché si basa essenzialmente su un presupposto culturale: sinteticità significa commisurare la lunghezza e la complessità dell’atto (sia della parte, sia del giudice) alla difficoltà delle questioni che si devono affrontare; ed è lo strumento per giungere alla chiarezza, in una sorta di endiadi. E pertanto il giurista fin dalla sua formazione deve abituarsi a usare un linguaggio adeguato sia sotto il profilo lessicale sia sotto il profilo sintattico e retorico: aperto ai termini tecnici, ma non ai “paroloni” che servono solo ad alzare il registro; sicuro nella gestione di frasi brevi e di periodi con poche subordinate, ma pronto ad aumentare la complicazione sintattica tutte le volte che sarà necessario esporre un ragionamento complesso”.

Conclude Bambi: “Occorre attrezzarsi così nell’interesse dei cittadini, che devono poter comprendere le leggi e la giustizia il più possibile senza intermediari, ma anche degli stessi giuristi, che potranno capirsi con meno difficoltà tra loro stessi, e nell’interesse del sistema giustizia, che anche con la semplificazione linguistica vedrà finalmente attuarsi il giusto processo di cui al rinnovellato articolo 111 della Costituzione. Solo così la lingua del diritto potrà davvero diventare una lingua per tutti: la storia - come sempre - ce lo dimostra”. La storia, infatti, dimostra “che, con qualche aggiustamento spesso necessario, si può avere - perché si è avuta - una lingua del diritto capace di arrivare anche ai cittadini poco addentro alle sottigliezze della giurisprudenza e alle asperità del suo linguaggio”.