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di Pieremilio Sammarco*

Libero, 5 gennaio 2023

Cosa c’è dietro la volontà del ministro Nordio di ridimensionarne l’uso. Il Ministro Nordio giustamente ha dichiarato di voler limitare l’uso delle intercettazioni come mezzo della ricerca della prova.

Oltre alle ingenti spese per l’utilizzo di appositi sistemi informatici che costituiscono un salasso per le casse dello Stato (circa 200 milioni di euro all’anno per origliare i dialoghi di circa 130mila persone), le intercettazioni non sono un mezzo di prova sempre affidabile e la loro utilità andrebbe ridimensionata.

Nel 1996, quando il banchiere Pacini Battaglia fu arrestato, uscirono intercettazioni che lo riguardavano: egli, a proposito di Antonio Di Pietro e del suo avvocato Lucibello, disse: “se li arrestano, per me è solo un piacere... perché a me Di Pietro e Lucibello mi hanno sbancato”.

Alle polemiche che divamparono, Pacini Battaglia disse che il termine “sbancato” era invece da intendersi “sbiancato”, poi diventato “stangato”, corretto successivamente in “stancato” e poi di nuovo “sbancato”, riferendosi però non alle pretese economiche di Di Pietro e Lucibello nei suoi confronti, quanto alla severità del primo e alla esosità delle parcelle del secondo. È evidente che, a seconda della trascrizione, i significati sono estremamente diversi.

A distanza di oltre un quarto di secolo, anche se i dispositivi tecnici sono più potenti, permangono le stesse oggettive difficoltà nella fedele traslitterazione dei file audio delle conversazioni registrate per conto dell’autorità giudiziaria; incidono dei rumori di fondo, parole mal pronunciate, malfunzionamenti tecnici e, non ultimo, errori umani da parte di chi materialmente trascrive i dialoghi, sulla cui involontarietà talvolta può sorgere perplessità.

Ancora Nordio, sempre a proposito delle intercettazioni, ha definito una “porcheria ciò che è successo nel caso Palamara”; esse “sono state pilotate, selezionate, diffuse secondo l’interesse di chi le diffondeva”; non sapremo mai, quindi, se nei colloqui intercettati si faceva riferimento a dei “carabinieroni” o al nome dell’ex Procuratore Capo di Roma, né se la frase trascritta nei verbali “si vira su Viola” era “si arriva a Viola”.

Al fine di scongiurare dubbi, dovrebbe essere sempre consentito alle difese avere la disponibilità dei file audio così da poterli confrontare con le trascrizioni riportate negli atti giudiziari e verificarne la corrispondenza. Ciò che sembra scontato per assicurare un processo privo di errori non viene sempre attuato. Si assiste anche a distruzione dei file audio in ragione dei “dati sensibili” ivi presenti o “per la delicatezza delle conversazioni”.

Nessuno sostiene che, in questi casi, vi sia da parte dei trascrittori l’intento di alterare le parole ascoltate perché equivarrebbe ad una dolosa manipolazione. Dunque subentra l’errore umano che le neuroscienze spiegano così: comprendere in modo sbagliato una parola ascoltata è un fenomeno legato alle nostre aspettative, cioè a ciò che pensiamo verrà detto, che produce una ridotta attività di un particolare circuito cerebrale che ha un molo critico nell’elaborazione dei suoni del discorso.

Pertanto, l’ascoltatore, nel trascrivere quanto udito, sarebbe (inconsapevolmente) condizionato da ciò che si attende di sentire; in altri termini, la malizia risiederebbe nelle orecchie di chi ascolta. *Professore Ordinario di Diritto Comparato