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di Ugo Magri

La Stampa, 26 agosto 2023

Le parole scelte con cura sono un invito alla destra al potere: cambi registro. Dal caso Vannacci ai nostalgici, nessuno vada contro lo spirito repubblicano. La politica sta prendendo una piega che mette in allarme il capo dello Stato. Da Rimini ha pronunciato un discorso in cui esorta alla vigilanza contro i seminatori di zizzania e contro tutti quanti li spalleggiano per puro cinismo o calcolo, magari in vista delle elezioni europee.

La competizione a destra, unita all’arroganza del potere, sta scoperchiando tombini da cui esalano miasmi velenosi; visioni sconfitte dalla storia s’illudono di sovvertire l’ordine dei valori democratici; tornano nella narrazione corrente linguaggi razzisti, omofobi, discriminatori; quanti hanno il coraggio di sfidarli finiscono vittime dei nuovi mazzieri mediatici.

Sergio Mattarella non ci sta, trova inaccettabile questo andazzo. E il suo intervento di ieri innalza la soglia dell’attenzione democratica. Chi cavalca certi sentimenti, traccia una riga il capo dello Stato, si colloca fuori dello spirito repubblicano. Evita di definirli comportamenti eversivi, ma il senso cambia poco. La Costituzione nacque, testuale, per “espellere l’odio che la civiltà umana ci chiede di sconfiggere”. Per superare le culture novecentesche che hanno “portato all’oppressione dell’uomo sull’uomo”. Per rendere più unite e libere le nostre comunità che sono “il frutto, nel succedersi della storia, dell’incontro di più etnie, consuetudini, esperienze, religioni, di apporto di diversi idiomi”: tutto il contrario di quanto vanno propagandando i fautori di una razza italica mai esistita in natura. Non ci vuole molto a immaginare con chi ce l’abbia Mattarella, che cosa maggiormente lo inquieti delle polemiche di mezza estate. E come mai abbia deciso di alzare la soglia della tolleranza.

Più di Roberto Vannacci, più ancora delle sue enormità sui neri, sugli ebrei e sui diversi, ciò che al Colle non va giù è il coro delle solidarietà politiche al generale, la gara tra esponenti leghisti e dei Fratelli d’Italia (compreso l’inner circle di Giorgia Meloni) a trasformarlo in martire dell’anticonformismo, in profeta della libertà di espressione, in vittima di un presunto “pensiero unico”, e la corsa a riproporne i concetti più inaccettabili, e il rozzo tentativo di sovvertire i principi, di ribaltare le gerarchie di valori repubblicani: come se fosse nei poteri di una maggioranza parlamentare farne tabula rasa nel nome del popolo sovrano.

Il presidente chiarisce che ciò non sarà consentito in quanto la Costituzione lo impedisce. Di questa Costituzione plurale e antifascista Mattarella è garante tanto nelle forme quanto nella sostanza. Guarda caso, ieri pomeriggio è andato fino ad Argenta per deporre una corona di fiori sulla tomba di don Giovanni Minzoni, sacerdote vittima delle squadracce mussoliniane, del quale ricorre in questi giorni il centenario. Per i nostalgici sono anniversari imbarazzanti, ma il presidente non ha intenzione alcuna di sorvolare. Un conto è la lealtà istituzionale di cui ha dato abbondantemente prova nei confronti del governo, altra cosa la condivisione. Né sembrano frenarlo gli attacchi, sempre più tambureggianti, della pubblicistica di destra. Semmai provocano l’effetto opposto. La prova? Proprio verso la fine del suo discorso (dai toni rigorosamente laici nonostante il contesto ciellino, con richiami a grandi figure che si tendono a dimenticare come il filosofo napoletano Gaetano Filangieri) Mattarella ha proposto una lunga citazione di Giuseppe Dossetti, “professorino” dell’allora Dc che poi si fece frate, a proposito della Costituzione americana in vigore da 200 anni, davvero tanti; eppure “nessuna generazione l’ha rifiutata o ha proposto di riscriverla integralmente”, al massimo di emendarla, argomentava Dossetti. Ecco: il presidente fa sue quelle parole, le sottoscrive dalla prima all’ultima lasciando così filtrare il suo autentico pensiero sulle riforme costituzionali annunciate dalla maggioranza e dal governo. Va bene aggiornare le regole per renderle più funzionali, se questo è l’obiettivo; ma guai a stravolgere i cardini di una democrazia “fondata sul rispetto e sulla reciproca comprensione”. Se c’è un equivoco al riguardo, è bene che venga subito chiarito.