di Francesco Grignetti
La Stampa, 20 settembre 2019
C'è un racconto autocelebrativo delle nostre forze armate, tranquillizzante, ottimista. Siamo bravissimi nelle operazioni all'estero. Abbiamo un corpaccione all'antica, ma anche tante eccellenze. In fondo, va bene così. E poi c'è un generale che ti spiazza e dice: "Ho la sensazione che stiamo andando verso il baratro".
Viva la sincerità. E viva il Capo di stato maggiore della Difesa, il generale Enzo Vecciarelli, che ama parlar chiaro. Ospite di Confindustria, alla presentazione di un master universitario che è stato organizzato dal Centro alti studi della Difesa e dall'università di Salerno, Vecciarelli si riferiva a un ritardo culturale delle forze armate, investite dalla rivoluzione digitale, e secondo lui in grave affanno. Basta sfogliare la stampa specializzata per capire che in effetti il ritardo della Difesa italiana è notevole.
Altre nazioni stanno investendo in campi che da noi sembrano ancora materie aliene: il cyber (nel duplice aspetto della difesa e dell'offesa), l'automazione, la robotica, l'intelligenza artificiale. È di qualche giorno fa, per dire, la notizia che l'esercito Usa ha portato a termine la prima esercitazione di assalto condotta interamente da macchine. Da noi, si parla di forze armate impegnate come protezione civile e a riparare le buche. Altrove, si interrogano sugli aspetti etici e operativi dei droni a guida robotizzata, con software di riconoscimento facciale e missile pronto a scattare.
Anche quando ci dotiamo con enorme sforzo di un singolo sistema d'arma moderno, vedi l'aereo F35 o le navi Fremm, tanto ci deve bastare. La politica sente di avere assolto al suo compito: se poi manca tutto il resto, poco importa. Tanto, si sa, le spese militari sono le prime a saltare quando c'è da rimediare fondi, che siano gli 80 euro di Renzi o il reddito di cittadinanza di Di Maio. La quarta rivoluzione industriale intanto è arrivata e le imprese se ne sono rese conto. Stesso discorso va fatto per il mondo militare.
Il digitale sarà la dimensione dove combattere la guerra del futuro. E il generale Vecciarelli evidentemente ha presente le lezioni del passato, quando suoi illustri predecessori arrivarono impreparati all'appuntamento con la storia. Nel 1915, Cadorna affrontò la Prima guerra mondiale con la mentalità risorgimentale e un esercito senza le mitragliatrici.
Nel 1939, la tragedia si ripete: gli altri avevano investito sulle forze corazzate e Badoglio schierava le divisioni autotrasportabili, i cavalli, i muli e le famigerate "scatole di latta". Vecciarelli, insomma, sembra avere ben presente il motto sui "generali sempre pronti a vincere le guerre, ma quelle del passato". La sfida delle forze armate oggi è quella dell'innovazione. A cominciare dalla cultura e dall'organizzazione interna. Il master in "Leadership, change management and digital innovation", presentato due giorni fa nella sede di Confindustria è un segnale di vitalità, ma non può bastare. Al presidente del Centro alti studi per la difesa, generale Fernando Giancotti, piace immaginare che gli ufficiali del futuro abbiano presente come sarà il mondo: "Volatile, incerto, complesso, ambiguo, rapidamente mutevole".
Per farvi fronte, già nelle accademie servirà una formazione diversa da quella attuale, un approccio nuovo in grado di recepire l'innovazione tecnologica, una mente aperta. Qualcosa si muove. È stato approvato ieri in consiglio dei ministri il decreto sul "perimetro" della sicurezza nazionale cibernetica, esteso al mercato azionario, ossia la Borsa Italiana. Ma la sfida è immensa. Per concludere con le ultime parole del generale Vecciarelli: "Io non sono pessimista. Sono realista. Qui in Italia tutti si appassionano al digitale, ma siamo fermi all'analogico".