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di Massimiliano Nerozzi

Corriere di Torino, 24 marzo 2024

La separazione delle carriere, riflette l’ex magistrato Gherardo Colombo, “sarebbe un segnale culturale molto forte verso la perdita definitiva del senso della giurisdizione del pubblico ministero”. L’ex pm che scoprì gli elenchi della Loggia P2 e che indagò su Tangentopoli “dialoga sul ruolo costituzionale della magistratura” domani, al cinema Esedra, insieme al Procuratore generale di Milano, Francesca Nanni, in occasione di un dibattito organizzato dalla sezione piemontese dell’associazione nazionale magistrati (Anm): inizio alle 17 con la proiezione del film “In nome del popolo italiano”. Tra film e Costituzione, domani al cinema Esedra si potrà dialogare sulla magistratura (anche) con Gherardo Colombo, 77 anni, 33 dei quali passati da giudice e pubblico ministero, tra la scoperta degli elenchi della Loggia P2 e l’inchiesta di Mani pulite.

Gherardo Colombo, perché aprire l’incontro dell’Anm con il film “In nome del popolo italiano”?

“Credo che il significato, sia per me che per l’Anm, stia soprattutto nel finale del film, oltre che in tutto il suo svolgimento: il tema è quello dell’indipendenza del giudice. Il film fa ragionare sull’indipendenza da sé stessi, dalle proprie convinzioni politiche ed etiche, dalle emozioni. E anche sull’indipendenza dai pregiudizi e dai preconcetti”.

Alla fine, il magistrato del film fa la scelta sbagliata...

“Perché si è innamorato delle sue idee e vuol dar soddisfazione al suo rancore: trova la prova dell’innocenza dell’imputato, ma la rifiuta perché è in contrasto con il suo desiderio. Smette di fare il giudice, diventa parziale”. Crede ci siano persone

che pensano che i magistrati siano così?

“Ah, sicuramente, e non escludo che ce ne sia anche qualcuno, di così. Il magistrato, peraltro, generalmente, scontenta tanta gente: o le vittime o gli imputati. E nel civile la parte alla quale dà torto. Il sistema della giustizia è divisivo”.

Riprendiamo il titolo dell’incontro: quale è il ruolo della magistratura adesso?

“È quello tradizionale, di “dirimere le controversie”. Ma è un tema su cui sarebbe necessario riflettere. È difficile fare lo stesso discorso per tutta la magistratura, perché le funzioni che esercita sono molto varie. Provo lo stesso a fare una sintesi, che può non piacere: secondo me, il ruolo della magistratura dovrebbe consistere nella ricerca della ricomposizione. Nel civile, per esempio, far sì che le parti arrivino a una transazione consapevole, cioè che si mettano d’accordo”.

Se fosse ancora un magistrato, sarebbe preoccupato?

“Sono 17 anni che non lo sono più, mi sono dimesso con oltre 14 anni di anticipo”.

Non si è dimesso dall’essere cittadino...

“Credo sia molto importante guardare al funzionamento dell’amministrazione della giustizia: funziona male, succede per esempio che la giustizia sia incredibilmente lenta. E più è lenta, meno è utile alla collettività”.

Sulla separazione delle carriere, pensa che questo governo riuscirà dove altri hanno fallito?

“Sulla riuscita non so cosa dirle. Secondo me, però, la separazione delle carriere sarebbe un segnale culturale molto forte, verso la perdita definitiva del senso della giurisdizione del pubblico ministero. Non è che ce ne sia molto, ma meglio poco che nulla...mi vengono in mente i vecchi episodi di “Perry Mason”, quando alla fine l’avvocato vinceva la causa perché il suo assistito era innocente, e il pubblico ministero si disperava. Dava più importanza al fatto di aver perso il processo che all’assoluzione di un innocente. Già adesso qualche volta succede, con la separazione delle carriere diventerebbe usuale”.

Lasciata la toga, è andato in giro per le scuole a parlare di libertà, legalità, cittadinanza: cosa ha imparato?

“In primo luogo, ad ascoltare meglio e di più i ragazzi, perché di solito noi adulti tendiamo ad ascoltare soprattutto noi stessi”.

Domanda più frequente?

“Il tema vero, più importante, alla fine è quello della libertà. Spesso ci si trova di fronte a un enorme equivoco, quello di confondere la libertà con il privilegio, con la soddisfazione del desiderio di onnipotenza. Ma la libertà è scelta, comporta sempre anche rinuncia: se scelgo l’alternativa A rinuncio all’alternativa B. I bambini delle elementari mi chiedono spesso in che consisteva la mia professione, qual è stato il caso più complicato, se ho mai messo in prigione un innocente, e se ho mai avuto paura”.

Sulla paura che risponde?

“Che ho avuto la scorta per vent’anni. Ma anche che tanti colleghi sono stati uccisi da mafia o terrorismo, e che mi è successo di avere paura, oltre che immenso dolore, quando è stato ucciso un caro collega dell’ufficio istruzione con il quale ero in stretto contatto”.

L’ex Pg di Torino, Francesco Saluzzo, ripeteva che nel dibattito pubblico, società civile e politica, si parla poco delle infiltrazioni della criminalità organizzata in Piemonte, e al nord in genere: cosa ne pensa?

“A me sembra molto vero, come se le infiltrazioni mafiose non esistessero. Ma sa, la cultura mafiosa è molto pervasiva. Con i ragazzi delle scuole parlo del rispetto della dignità altrui, compresi i fratelli minori. Tutti a dirsi d’accordo, ma se poi domando: “Quando tornate a casa, e vostro fratello sta guardando un programma che non volete vedere, cercate una soluzione che vada bene a entrambi oppure, dammi il telecomando se no ti spacco la faccia?”, si mettono a ridere. Sono tutti per la minaccia”.

Morale?

“Che differenza c’è con la richiesta all’esercente, o paghi il pizzo o ti brucio il negozio? Direi che qualche responsabilità ce l’abbiamo, nell’evitare certi argomenti: forse, un filo i piedi bagnati, ce li abbiamo un po’ tutti”.