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di Alberto Cisterna

L’Unità, 20 agosto 2023

C’è una strategia di rinegoziazione degli ambiti di influenza e ingerenza tra politica e toghe, che sta mettendo in confusione sia le vestali del giustizialismo ancien regime, sia i garantisti di stampo tradizionale che restano interdetti dai segnali contrastanti dalla maggioranza di governo.

Minaccia tempesta la ripresa dell’attività politica e sotto molti versanti. È chiaro, ormai, che nella maggioranza di governo si fronteggiano fazioni tra loro diverse e in disaccordo su temi essenziali per la tenuta della compagine. Sul versante economico le iniziative della premier su salario minimo e sulla tassazione degli extraprofitti bancari sono state dichiaratamente assunte senza alcun dialogo con gli altri partiti della coalizione, anzi volutamente a loro insaputa.

Sul versante giudiziario l’erosione degli spazi di agibilità politica del ministro Nordio e l’adozione di provvedimenti di stampo neo-giustizialista segnano fratture e cesure inevitabilmente destinate ad allargarsi quando mai fossero davvero presi in esame gli assi portanti della promessa riforma della giustizia. Senza parlare del default sulle politiche migratorie, certificato dalle cifre snocciolate dal ministro Piantedosi a Ferragosto, e che registra il cupo silenzio del fronte leghista.

Per la giustizia il tempo delle dichiarazioni e degli annunci si è rapidamente consunto dopo essere andato a infrangersi nelle resistenze di una premier che invero non ha mai assunto una postura garantista negli ultimi anni, pur avendo fatto parte di uno dei più controversi governi a trazione berlusconiana. Anzi si intravedono nelle iniziative del presidente del Consiglio le tracce di una nuova allure giustizialista, parzialmente diversa da quella che ha trovato la sua massima espressione nei governi Conte della scorsa legislatura. A settembre - dopo rave party, incendi, intercettazioni e frattaglie varie - si annuncia una nuova stretta penale sull’immigrazione clandestina.

Il continuo ricorso alla legislazione penale per dare l’impressione di porre rimedio a problemi ormai strutturali della società italiana e non solo tende a far slittare la politica nelle mani dei pubblici ministeri e, quindi, del potere giudiziario. A seconda della risposta che le procure della Repubblica e la polizia giudiziaria - che solo da esse dipende - vorranno dare alle sollecitazioni del governo sulle emergenze di volta in volta sul tappeto si potrà misurare il successo o meno delle politiche securitarie messe in campo.

In altre parole, come l’efficacia dell’azione di governo in materia di scuola, lavori pubblici, previdenza, sanità e altro dipende dal coefficiente di consenso che riscuote del Deep State della pubblica amministrazione e nei piani alti e medio-alti della burocrazia, così gli arsenali dell’ordine pubblico e della sicurezza in tanto possono essere orientati verso le insorgenti istanze della maggioranza in quanto gli uffici giudiziari vi prestino attenzione e cura. Il discorso rischia di essere scivoloso e merita qualche chiarimento. Nella stagione 2008-2009 furono varati i famosi pacchetti-sicurezza che contenevano nuovi illeciti penali praticamente rimasti tutti sulla carta. Simulacri corrosi dal tempo a esempio della sostanzialmente impotenza del legislatore sul versante penale, malgrado le stentoree enunciazioni della Costituzione. E questo si è ripetuto più volte nel tempo.

Per carità nessuna forma di disobbedienza, ma se le procure non investigano, non conferiscono deleghe e non coltivano la repressione di alcuni fenomeni - orientando l’enorme discrezionalità di cui, di fatto, dispongono - le leggi sono praticamente carta straccia destinata all’oblio. Ecco il neo-giustizialismo presenta, rispetto alle forme tradizionali di questa ideologia, una sostanziale differenza: non intende concedere carta bianca al potere giudiziario nella fideistica convinzione che le toghe purificheranno il mondo, ma è piuttosto convinto che occorra ricercare il consenso della magistratura inquirente per poter conseguire obiettivi di notevole impatto mediatico e politico.

In filigrana comincia a delinearsi la strategia di una complessiva rinegoziazione degli ambiti di influenza e ingerenza tra politica e giustizia. Qui si abroga l’abuso d’ufficio o si archivia il traffico di influenze, lì si apre ai modelli repressivi tradizionali dell’armamentario antimafia e si differisce sine die una profonda riscrittura dell’ordinamento giudiziario. Una strategia che sta vistosamente mettendo in confusione sia le vestali del giustizialismo ancien regime, sia i garantisti di stampo tradizionale che restano interdetti dai segnali contrastanti che provengono dal governo e dalla sua maggioranza. È un crinale che, a tutta evidenza, vuole rimodulare la separazione dei poteri dello Stato e immagina di attuare una pericolosa annessione di componenti non secondarie del potere giudiziario in un nuovo modello consociativo fondato su logiche di scambio a corrente alternata.

Se per tre decenni circa si è passivamente assistito a una pretesa esondazione della magistratura a spese della politica e dell’amministrazione, la nuova rotta appare segnata dall’idea di poter negoziare con la parte più organizzata e mediaticamente robusta del potere inquirente (in primo luogo quello antimafia) per realizzare una cogestione mite delle politiche penali. Aver cancellato una pur controversa sentenza della Cassazione in materia di intercettazioni con un decreto legge si erge a manifestazione solo più appariscente di questa strategia che, invero, corre molto più silenziosamente e dovrà confrontarsi anche con le scelte che verranno operate a breve dal Csm sul versante della riforma dell’organizzazione degli uffici di procura.

Una questione di straordinario rilievo politico e istituzionale quasi del tutto silenziata e sulla quale, a esempio, si registra un’importante presa di posizione del procuratore nazionale Melillo (“Per un nuovo modello di organizzazione degli uffici del pubblico ministero” intervento nei “Lavori preparatori Circolare sull’organizzazione degli Uffici requirenti”, Sala Conferenza del Csm, Roma, 14 luglio 2023). Il modo in cui le procure saranno regolate in futuro può essere decisivo per il successo o il fallimento di questa nuova forma di appeasement che la politica ricerca con il potere giudiziario.