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di Ugo Ceron*

Avvenire, 27 ottobre 2023

Nei giorni scorsi il sottosegretario alla giustizia, Andrea Delmastro, ha proposto di evitare il carcere per le persone con problematiche di dipendenza patologica “almeno alla prima condanna”: Ci sembra un intento condivisibile. È necessario però collegare questa proposta ad una misura più ampia e generale circa l’applicazione delle misure alternative al carcere, in particolar modo per le persone con problematiche di dipendenza.

Il nostro ordinamento giudiziario prevede già una serie di misure alternative alla carcerazione, la cui applicazione rischia spesso di essere parziale, discrezionale e lenta, vanificando a volte l’intento riabilitativo. La proposta del sottosegretario ci sembra che punti a modificare la materia sotto il profilo giudico-normativo, ipotizzando che non sia più il giudice di sorveglianza a convertire l’esecuzione della pena definitiva presso i servizi territoriali e/o in una comunità di recupero, bensì direttamente quello di dibattimento davanti al quale viene condotto l’autore del reato connesso alla sua tossicodipendenza.

Questo sicuramente è condivisibile perché l’intervento pensato per la persona con problemi di dipendenza, in particolar modo quelle coinvolte in illeciti di “lieve entità” come recita il comma 5 dell’art. 73 del Testo unico delle dipendenze, deve essere orientato a seguire dei percorsi riabilitativi sia a livello territoriale che residenziale, valorizzando il ruolo degli uffici che si occupano di percorsi pensati per le esigenze di ciascuno, senza passare dal carcere. Il Testo Unico 309/90 già indicava “Istituti idonei” per l’esecuzione di programmi terapeutici e di riabilitazione, ma negli anni abbiamo visto come tale sistema fatichi a dare i risultati attesi per un concorso di cause, tra le quali mancanza di fondi, personale e regole su cui il legislatore non è più intervenuto. L’esecuzione alternativa della pena è già prevista, ma la si deve costruire fin dal suo inizio coinvolgendo l’intero sistema dei servizi per le dipendenze con un’attenzione anche al mondo del lavoro per costruire una piena inclusione.

È indispensabile che i servizi specialistici - Serd, Uepe - possano costruire specifici Piani Terapeutici che possano trovare poi sui territori applicazione attraverso le diverse agenzie e le comunità terapeutiche stesse. La materia è complessa e non la si può risolvere pensando semplicemente dei luoghi cui affidare queste persone, ma servono più azioni collegate tra loro. Ad esempio oltre le strutture terapeutiche e i servizi territoriali potrebbe essere utile aprire dei centri diurni in carcere, delle sezioni dedicate in cui si fa, con attività vere, strutturate sul lavoro che servano a rielaborare la dipendenza. In alcuni Istituti di pena tutto ciò avviene già, ma tali percorsi necessitano di essere incentivati.

Abbiamo in Italia un sistema della lotta alle dipendenze, pubblico e privato, capace di strutturare ed accompagnare validi percorsi riabilitativi e di piena inclusione, pertanto ci auguriamo che l’intento del Ministero di Grazia e Giustizia, tramite una revisione del Testo Unico delle dipendenze, possa contribuire ad accorciare i tempi di attuazione delle misure alternative e riesca a dotare le Asl dei finanziamenti sufficienti per fronteggiare le diverse richieste di accoglienza.

*Servizio dipendenze patologiche Comunità Papa Giovanni XXIII