sito

storico

Archivio storico

                   5permille

   

di Marco Bruna

La Lettura - Corriere della Sera, 5 novembre 2023

“Non dobbiamo mai perdere di vista la compassione”. Al cuore di questo romanzo d’esordio, finalista al National Book Award, c’è un’idea nobile: la vita di ogni essere umano è preziosa, anche di chi ha sbagliato, soprattutto di chi conduce la propria esistenza ai margini del mondo. "Catene di Gloria" di Nana Kwame AdjeiBrenyah, una delle voci più interessanti della narrativa americana contemporanea, in uscita in Italia per Sur, parte da qui, dall’idea di compassione. Quello che leggeremo è ambientato in un’America distopica. Lo stile e la trama si possono racchiudere sotto l’ombrello immenso della fiction speculativa.

"Catene di Gloria" ha una trama sconnessa, fluida, sottoposta a numerosi punti di vista. I protagonisti sono dei carcerati, in maggioranza neri, che combattono tra di loro durante duelli cruenti, in un programma chiamato Intrattenimento Penale per Atti Criminali. Il fiore all’occhiello del programma si chiama appunto Catene di Gloria e viene trasmesso in prima serata a un pubblico televisivo assetato di sangue. Come gladiatori romani, i carcerati combattono fino alla morte con prigionieri di altri istituti, per guadagnarsi la libertà. Se sopravvivono a tre anni di battaglie, sono liberi. Un miraggio, perché molti di loro non ce la fanno. I combattenti migliori assurgono al ruolo di sex symbol, come gli influencer di oggi. "Catene di Gloria" è un circo distopico, che ricorda molto da vicino l’America contemporanea.

Il giovanissimo Nana Kwame AdjeiBrenyah (1991) si era già misurato con l’incubo della distopia nella raccolta di dodici racconti Friday Black (sempre Sur), nella quale i protagonisti si muovono in un mondo surreale e angosciante. Allievo di George Saunders all’Università di Syracuse, New York, l’ateneo dove Carver insegnò Letteratura inglese, AdjeiBrenyah è stato scelto nel 2018 da Colson Whitehead come uno dei “5 Under 35”, il riconoscimento della National Book Foundation dedicato ai migliori esordienti sotto i 35 anni. “La Lettura” lo ha intervistato su Zoom.

Questo romanzo doveva essere in origine una delle storie di “Friday Black”. Che cosa l’ha convinta a trasformare il racconto in un libro?

“Il racconto breve è la forma di scrittura che preferisco. Ma questa volta sapevo che la storia di Loretta Thurwar avrebbe meritato più spazio. Loretta è in prigione, ha subito gli abusi del sistema carcerario. Dovevo focalizzarmi su un concetto più ampio. Mi servivano molto più di venti o trenta pagine”.

La trama nasce da un’esperienza personale: ha conosciuto il mondo carcerario americano, le ineguaglianze di un sistema dominato dal razzismo...

“Mio padre era un avvocato, ha difeso persone accusate di crimini violenti, atroci. Mi sono sempre chiesto che cosa significasse fare del male, che cosa portasse un essere umano a fare del male. Sin da ragazzo ho riflettuto sul concetto di giustizia e sul funzionamento del sistema carcerario. Io stesso ho lavorato con persone che sono state in carcere”.

E qui arriviamo all’idea di compassione, al centro del romanzo...

“È una visione umanistica. Ogni essere umano ha bisogno di sentirsi compreso. Bisogna provare compassione, a prescindere da quello che un uomo o una donna hanno fatto. Nel nostro sistema giudiziario non c’è spazio per la compassione. È difficile ma necessario capire che molte persone vengono spinte ad agire in certe circostanze. La povertà è un fattore cruciale nella miriade di crimini commessi in America. Non è una scusante. Ma nulla impedisce di continuare a provare amore. Si può provare a diventare migliori anche dopo avere raschiato l’abisso”.

I duelli tra carcerati vengono trasmessi in tv, come una partita di calcio qualsiasi. Siamo dominati dal consumismo?

“Viviamo in un perpetuo stato di consumismo, aspettiamo sempre il prossimo programma da guardare. È una sensazione paurosa, significa considerare gli esseri umani una merce”.

Loretta Thurwar è una donna sola che combatte in un’arena. Lo stesso destino accomuna migliaia di donne, costrette a combattere per i loro diritti, alcuni spazzati via come è successo nel caso del ribaltamento della sentenza Roe vs. Wade, che garantiva la possibilità di abortire legalmente negli Stati Uniti...

“Tante donne chiuse nelle prigioni americane sono vittime di abusi sessuali. Avere messo una donna al centro di questo libro non è casuale: sono a rischio, c’è un sistema che vuole controllarle a tutti i costi, che vuole limitare la loro umanità. Nel romanzo seguo molteplici punti di vista, i quali riflettono le numerose teste del sistema carcerario: è come un’Idra. Siamo tutti complici, in misura diversa, di come funziona il mondo. Ogni punto di vista è cruciale per capirlo”.

L’America è una distopia?

“È un Paese relativamente giovane, con un potere illimitato. È la ricetta perfetta per la distruzione. È come dare a un bambino di quattro anni un arsenale nucleare e tutta la ricchezza presente sulla Terra. Consideriamo l’America da sempre come “la terra delle persone libere” e siamo i leader dell’incarcerazione di massa. La differenza tra ciò che pensiamo di essere e ciò che siamo è il punto di partenza perfetto per costruire una distopia”.

Al cuore del libro c’è anche una storia sentimentale, quella tra Loretta Thurwar e Hurricane Staxxx. È un’idea romantica: l’amore in mezzo al sangue e alle rovine...

“Di solito sono contrario all’idea che in ogni romanzo debba esserci una storia d’amore. Ma quando ho cominciato ad abbozzarla sulla pagina non ho resistito, il contesto l’ha poi resa necessaria. Ho fatto innamorare due persone che si capiscono, che condividono profondamente e intimamente il loro destino. La domanda di fondo è: che cosa sei disposto a fare per le persone che ami?”.

La fiction speculativa sarà un genere a cui gli scrittori faranno sempre più ricorso in futuro per rivolgersi in modo più immediato ai lettori?

“Diventerà sempre più popolare, ti permette di essere molto specifico e, al tempo stesso, di generalizzare. Ti permette di esporti al male del mondo senza farti inghiottire, senza dover essere troppo realistico nella narrazione”.

Non a caso il suo mentore è stato George Saunders. Qual è stato il suo più grande insegnamento?

“Mi disse: “Sii semplice, sii preciso”. Questa, tra le tante, è stata la sua più grande lezione. Sulla pagina dovevo essere come un meccanico, attento a fare funzionare tutti i dettagli. Sarebbe diventata “un’esperienza spirituale”

Tre libri per capire l’America?

“Il saggio sulla giustizia We Do This ‘Til We Free Us di Mariame Kaba; Solitary di Albert Woodfox, storia di uomo che è sopravvissuto al carcere duro per un crimine che non ha commesso; capolavoro di Richard Wright”.