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di Valerio Marchi

Messaggero Veneto, 21 gennaio 2024

Devianza e mutamento sociale nella vicenda di Fabrizio Maiello: il libro scritto con l’aiuto di Franca Garreffa, docente di Sociologia giuridica. “Oggi Fabrizio è un uomo completamente diverso, un individuo ri-nato che tuttavia vive da libero in una società caratterizzata da un clima culturale legato profondamente a domande di crescente carcerizzazione...”: scrive così nelle sue considerazioni conclusive Franca Garreffa - docente di Sociologia giuridica, della devianza e mutamento sociale - condensando il cuore della vicenda di Fabrizio Maiello dopo averlo affiancato nella stesura di un libro appassionante, toccante, necessario: “Nel carcere dei matti delinquenti. Storia di Fabrizio Maiello”, appena edito da Kappa Vu, casa editrice da sempre attenta a storie e questioni legate al disagio sociale e mentale e nelle carceri.

È una storia dolorosa a lieto fine, ma - come osserva nella prefazione Donatella Barazzetti, docente di Sociologia - è anche una storia che fa “riflettere sulle possibilità che le “vite di scarto” ritrovino se stesse e si sottraggano a questo marchio”.

All’inquadramento scientifico ha contribuito altresì l’avvocato Luca Muglia, garante regionale dei diritti delle persone detenute o private della libertà personale della regione Calabria. Muglia, che al pari delle esperte sopra citate ha un curriculum di alto spessore, riflette su “come sia spiegabile quanto accaduto a Fabrizio Maiello e quale significato assume la sua vicenda in termini psicosociali e neurosceintifici”.

Dal canto suo, poi, la scrittrice e biografa friulana Carmen Gasparotto ha offerto una “fotografia” di Giovanni Marione (fotografie vere e proprie, che ritraggono Fabrizio e Giovanni, le troviamo invece in un “album” in fondo al volume). Nativo di Flambruzzo, e morto ad Aiello del Friuli nel 2008, Giovanni è stato un uomo sfortunato, vissuto in un contesto sociale di disagio e sofferenza, ma è divenuto un’ancora di salvezza per Fabrizio.

Già, perché Fabrizio giocava con la “primavera” del Monza ed era un talento straordinario, una grande promessa del calcio, ma nel 1979, a 17 anni, un infortunio gli frantumò sia il ginocchio sia ogni speranza di carriera. Quindi, entrato in un tunnel di depressione, droga e delinquenza, finì dapprima in carcere e poi, per 14 anni, in un ospedale psichiatrico giudiziario. Le occasioni per l’incredibile svolta furono un pallone, trovato nel cortile dell’istituto detentivo, e Giovanni.

Il ritrovato amore per il pallone lo portò ad allenarsi, a concentrarsi, a ritrovare fiducia in se stesso, stabilendo nelle più improbabili condizioni vari record di palleggi, letteralmente da Guinness dei primati. E poi c’è stato Giovanni, ammalato e - secondo i medici - con pochi mesi di aspettativa di vita, chiuso nel suo mondo di deliri e di terrore, in buona parte non autosufficiente, bersaglio preferito dei detenuti. Fabrizio decise di prendersene cura, lo accudì, lo protesse e gli prolungò la vita di anni, salvando lui per salvare anche se stesso: così, da criminale incallito, divenne “uno strumento utile, per sé e per gli altri, un ‘ponte’ fra la società cosiddetta civile e il mondo degli internati, un esempio in grado di restituire speranza a tanti uomini e donne privati della loro dignità” (Muglia). Oggi Fabrizio vive a Reggio Emilia, lavora in una Cooperativa, si occupa del verde pubblico e porta avanti un progetto sociale rivolto a scuole, associazioni, alla società civile in generale.